Un’esperienza mistica fra i prati della Murgia, nella grazia di Dio

E’ tardi, ormai. Già il sole, frettoloso e impaziente di illuminare nuovi volti, nuove terre, di restituire l’azzurro ai cieli blu notte di altre zone del pianeta, inizia a sparire dietro la linea retta dell’orizzonte.

Un caldo arancione, carico di luce, accende di fuochi il meriggio, andando a creare un netto contrasto col nero dei profili e del panorama della città. Gli uccelli rincasano nei propri nidi, il vento accarezza tutto ciò che incontra nel suo eterno andare. Foglie nere, appese a rami neri di alberi neri, ciondolano, inerti, fremendo, sibilando.

Ecco, sì. Come un sussurro, un flebile suono, escono queste parole dalle labbra, umide. “…perché ha guardato l’umiltà della sua serva, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata…”.

Chiudo gli occhi. Tanto lo conosco a memoria quel cantico. A furia di recitarlo, bisbigliarlo, o qualche volta cantarlo in ogni santo vespro, lo si impara. Ecco, alle prime parole il solito segno di croce, si parte. Un respiro profondo.

Non smette mai di affascinare, però, devo ammetterlo. Stupisce con le sue parole profetiche, eterne, potenti, dilata spazi dentro dove poggiare sacchi di speranza, slancia con forza il pensiero a ciò che, mirabilmente dice, solcando a grandi falcate le distanze di tempi, di epoche.

La vedo di fronte a me, Myriam. Maria. Tutto ad un tratto. La visuale dei tre campanili di Andria, le snelle gru, i palazzi, le antenne, adesso ecco che si trasformano nelle brulle e aride terre di Palestina. Il profumo invitante del naan appena sfornato mi pervade le narici. Altro respiro profondo. Voglio catturarlo, tutto per me. La polvere e il pietrisco della terra rende grigie le mie scarpe originariamente nerissime, le grida e gli schiamazzi in ebraico di bambini che rincasano al tramonto giungono repentine alle mie orecchie.

E’ di spalle. Non riesco a guardarla in faccia.

L’ampio velo che le copre, partendo dal capo, tutto il corpo snello e slanciato, eppure non riesce a nascondere braccia, il braccio sinistro, inarcato, con il gomito a generare un angolo retto, porta la mano al ventre appena pronunciato, il braccio destro, invece, con il palmo delle mani aperto. E’ in preghiera… Quanto è bella. Mi avvicino, a piccoli passi, senza far rumore, proprio per non rompere, neanche di poco, quell’armonia mistica che si sta spalancando dinnanzi a me. La gravidanza ha già lasciato i primi segni, il ventre leggermente gonfio, le guance hanno un colorito particolare. Il volto… Beh, credo che il Padreterno si sia messo veramente d’impegno per realizzare un capolavoro simile. La guardo e penso alle toccanti parole del salmo: «Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; stupende sono le tue opere».

Ascoltare quelle parole, bisbigliate sottovoce, vederle sfilacciarsi nel venticello leggero di inizio estate, credo che non esista preghiera più bella. Le parole. Le sento sfiorarmi il volto, il cuore… e forse solo adesso le comprendo davvero.

«Ha spiegato la potenza del suo braccio… ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati… ricordandosi della Sua misericordia…». È questa la bellezza di questa donna, è l’incarnazione di questa speranza. Crede davvero in quello che dice, dolce e ferma, sicura. Quante parole a vuoto, quante sprecate, che si perdono nei meandri dei nostri pensieri contorti, dei nostri discorsoni vanagloriosi. È semplice, è pura, è trasparente. Attraverso di lei passa la luce, la letizia di chi è stata amata davvero tanto che l’anima esulta in festa! Il suo segreto è stato mettersi sotto le ali di Colui che ama e che salva, senza orgoglio, senza superbia, con la fiducia di chi sa che nulla può fargli del male.

Spinge ancora più a fondo le mani sul ventre. Vorrebbe toccarLo, l’attesa è dolce ma uccide. Sorride, l’importante che Lui sia lì. Inconsciamente, è un attimo, porto anch’io le mani sul mio petto. Lo sento anch’io, non concretamente, certo. Lo sento perché davvero «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente». Sorrido, la mia anima sta veramente magnificando il Signore, mai come adesso.
Riapro gli occhi. Le cicale della Murgia ritornano a frinirmi nelle orecchie, calpesto l’erba per capire con certezza dove sia.
Lentamente mi incammino per rincasare, eppure mi sento diverso.
«Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo…»