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Leggere Ludovica è come addentrarsi in punta di piedi fra spirali di vita che ti coinvolgono nel profondo…
Ludovica Castelli ha la capacità di far pulsare le parole allo stesso modo delle emozioni che suscitano. E questo non solo perché questi pezzi di vita sono tutto quel che ci resta di lei ma soprattutto perché è riuscita a trasmettere passo dopo passo tante porzioni di cuore, come valigie pronte a caricarsi d’anima.
Fumiamoci una sigaretta, edito Les Flâneurs Edizioni, racconta la storia di cinque amiche che Ludovica chiama affettuosamente streghe che vivono a Roma e condividono lo stesso appartamento. Amiche sorelle che nell’amicizia diventano donne, piene di sogni, di fantasie, di fragilità, di imbarazzi ed egoismi. Il fumo della sigaretta accompagna i desideri e diviene momento di condivisione e riflessione. Ci si ferma per legarsi profondamente ed è la puzza di tabacco che le rende simili.
Ludovica attraverso la sua scrittura si pone davanti a uno specchio e racconta perché una soluzione, forse, si trova sempre o forse perché non si può amare senza concedersi qualche paura. Vuole fare l’attrice. «Essere attrice nel cuore e non nelle azioni. Recitare mi manca, respirare polvere dentro un freddo teatro, sentire il mio volto sformarsi alla ricerca di esperienze che non mi appartengono. La memoria, il sipario, gli applausi.»
Dopo Matteo, Gabriele, mentre i pensieri sbattono nella mente arrabbiati e confusi e i ricordi hanno il profumo di Catania, un ragazzo di Trastevere, C., sconosciuto, comincia a martellarle il cuore e i giorni. Un amore solo immaginato, che è carne che brucia, patria, nostalgia, piacere inaccessibile, sguardo che si fa storia e imbarazzante silenzio.
Attraverso pagine di diario, brevi annotazioni, Ludovica immagina il futuro mentre le stagioni si susseguono e il foglio bianco diviene un rifugio ideale sullo scivolo del tempo che passa come se non la riguardasse.
«Voglio trovarti, ragazzo di Trastevere, voglio stringere la tua mano, imbarazzarmi per un complimento audace, tremare per una parola detta ad alta voce. Scoprirmi innamorata di un uomo perduto prima ancora di essere trovato. Sono pazza. E allora?»
È un continuo cercarsi mentre l’amore mette radici, toglie il sonno, pesa sul collo, fa dimagrire. Le parole si vomitano, guariscono, restano dentro, a volte passano, a volte spingono in avanti il tempo. Comunque succedono depositando in ogni cassetto il riverbero dei sussurri. Si accettano anche gli amori che battono come la pioggia, casuali come una preghiera e decisi come il mare, graffianti come sbagli e mai facili.
Si mescolano i profumi, si struccano i volti le amiche e fumano il tempo ma il cuore è pieno e le mani vuote e tante sono le finestre da aprire.
«Mi hanno insegnato che nella vita c’è sempre qualcosa da trovare. Io scrivo e intanto cerco, e mi convinco che la felicità stia soprattutto nella ricerca.»
A Ludovica non interessano le previsioni, accetta la pioggia, il sole, l’attesa che non imbroglia, il fiato che fa tremare. È un diritto la ricerca della felicità, non solo un sogno; l’amore sgomita e vince e quando è così bello è anche difficile da scrivere. Felicità e tristezza si corrispondono come i baci dati sulla guancia o solo immaginati.
Ad un passo dal tendere l’orecchio il silenzio urla e ci si sveglia perché le coincidenze cicatrizzano il destino. Un po’ più in là per non mollare, per restare a galla, per mantenere la calma, tra insonnie e caffè bevuti, nell’ossessione di inutili scorciatoie la speranza fa lo sgambetto. Ma se uno sguardo è carico di significati per mille volte ancora C. sarà più vicino, un pensiero scomodo, costante e stancante. E, se il cuore sanguina e bara al solitario, le regole si infrangono per centoventi giorni al sapor di limone, per un marzo che sappia di fragola, per fare lunghi respiri, per cadere come le stelle e non dirsi addio.
Poi la vita ha una sua logica, per quanto stravagante o crudele possa sembrare.
In “Ma quanto mi piace la mia vita!” Ludovica conduce il lettore più avanti nel tempo, dopo l’incontro con C. Dopo due anni qualcosa si perde, si lancia lontano, fino a giustificare le lacrime, la pazzia, la bellezza.
Si cresce per tornare a guardare il mare con occhi diversi, per mancarsi, per appartenersi mentre l’ultima sigaretta complica sempre tutto.
Se l’amore tradisce, ci può essere perdono anche se resta amore?
Ludovica ci riflette tentando di mettere la distanza, un po’ imparando a mentire, un po’ provando a guarire perché la vita non offre un copione da memorizzare.
«Ah, se si potesse scegliere chi amare…»
Provare a cambiare, a sputare fuori il nodo in gola, a prendere aria tra una malinconia inopportuna e una Sicilia che è madre dalle forti braccia, in un complesso intreccio di pieni e vuoti.
Se i sentimenti sanno bene come nascondersi, gli occhi invece sanno come riempirsi di nostalgia mentre il dolore devasta e la verità è meglio non conoscerla.
Il lettore si impregna di dichiarazioni d’amore, di canzoni, di poesia e segue il flusso inarrestabile dei pensieri.
Davvero i sogni si possono spezzare?
Davvero le notti sono magiche sorridendo ai ricordi?
Davvero le parole muoiono sulla lingua secca quando il cuore, tondo come una palla, non ha neanche la forza di rimbalzare?
A rileggerla la vita val molto di più di un ti voglio bene mai detto. Tra una pagina e l’altra, tra una città e l’altra, il cuore non si può imballare e resta a dare il giusto a spazio a chi, poi, una stella lo è diventata e brilla lassù, così come quaggiù.