Il cineasta italiano più conosciuto al mondo, oggi una indiscussa icona di talento per la settima arte internazionale
Chi oggi ha la possibilità di visitare Cinecittà, potrà conoscere un luogo simbolo, sicuramente tra i tanti, che evoca uno dei momenti più belli ed importanti del cinema italiano: lo Studio 5 di Federico Fellini.
Il 20 gennaio 1920, a Rimini, nasce Federico Fellini, da una famiglia piccolo-borghese.
Federico frequenta il liceo classico della città, ma non è molto portato per lo studio.
Inizia, allora, a lavorare, procurandosi i primi piccoli guadagni come caricaturista, avendo una particolare predilezione per il disegno artistico.
Questa passione lo porta, nell’estate del 1937, a fondare, con il pittore Demos Bonini, la bottega “Febo”, dove i due eseguono caricature di turisti.
Durante il 1938, Federico passa a collaborare con giornali e riviste come disegnatore di vignette. Si trasferisce, quindi, a Roma, nel 1939, con l’artificio di iscriversi a Giurisprudenza, ma vivendoci poi stabilmente. E’ in quest’anno che inizia a lavorare per il cinema. Comincia con la frequentazione del mondo dell’avanspettacolo e della radio, dove conosce gente di un certo spessore, come Aldo Fabrizi, e comincia a scrivere copioni e gag. Nel 1943, incontra, alla radio, Giulietta Masina, la quale sta interpretando il personaggio di Pallina, ideato proprio da Federico. Successivamente, questa amicizia diventa amore, a tal punto che i due si sposano.
Durante gli anni della guerra, Federico partecipa alle sceneggiature di una serie di bei film, fra i quali “Chi l’ha visto?” di Goffredo Alessandrini.
Successivamente, diviene uno dei protagonisti del neorealismo, sceneggiando alcune delle opere più importanti: con Rossellini, ad esempio, scrive i capolavori “Roma città aperta” e “Paisà”, con Lattuada “Il delitto di Giovanni Episcopo”, “Senza pietà” e “Il mulino del Po”. Sempre cooperando con Lattuada, avviene il suo esordio alla regia, all’inizio degli anni cinquanta.
In seguito, Fellini sovrintende il suo primo film da solo, “Lo sceicco bianco”. Grazie a “I vitelloni” (nel 1953) il suo nome diviene noto anche all’estero. Per la prima volta, in questa produzione, Fellini ricorre al racconto della sua vita trascorsa ed ai suoi personaggi stravaganti e patetici. In questi due particolari film d’esordio, fondamentale è la collaborazione del suo grande amico Alberto Sordi. L’anno successivo, vince l’Oscar con “La strada” e, in questo modo, avviene la sua consacrazione internazionale. Nel 1957, il regista conquista il secondo Oscar con “Le notti di Cabiria”. La protagonista è sua moglie, come in “La strada”, che ha avuto ruoli di diversa importanza in tutti i film iniziali del marito. Con “La dolce vita” (1959), Palma d’oro a Cannes e film spartiacque della produzione felliniana, aumenta l’interesse per un cinema differente, non tradizionale. Il film, alla sua uscita, suscita scalpore, soprattutto negli ambienti ecclesiastici: gli si rimproverano sia una certa disinvoltura nel presentare situazioni spinte, sia di narrare liberamente la caduta dei valori della società del tempo.
Nel 1963 esce “8½”, probabilmente l’apice dell’arte felliniana. Il film tratta la storia di un regista che narra i suoi momenti bui, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista professionale. Vince l’Oscar per il miglior film straniero e per i costumi (con Piero Gherardi, architetto ed altro suo grande amico, che nel 1961 vinse anch’egli l’Oscar per i costumi di “La dolce vita”). L’universo fantastico introdotto in “8½” diviene un leitmotiv per tutti i film fino alla fine degli anni sessanta
Con il successivo “Toby Dammit”, episodio di “Tre passi nel delirio” (1968), trasforma una novella del celebre Edgar Allan Poe, “Non scommettere la testa con il diavolo”, arricchendola con un ulteriore approfondimento sulle angosce e sulle oppressioni dell’esistenza contemporanea. In “Fellini-Satyricon” (1969), invece, si registra un trasferimento dell’impianto onirico alla Roma imperiale del periodo decadente. Diviene una metafora del presente, in cui ha la meglio, spesso, la spensieratezza della beffa, assieme ad un’attrazione per le nuove idee dei giovani. Gli anni sessanta si concludono con lo special televisivo ‘’Block Notes’’. Il seguente decennio è inaugurato con una serie di film che trattano il passato riminese del regista, uno per tutti il celebrato “Amarcord”.
L’ultimo film è “La voce della Luna” (1990), nel quale Fellini ci ammalia con i suoi pazzi nella campagna, al fine di udire le sue voci, i suoi bisbigli, lontano dalla città. Il 29 marzo 1993, Fellini riceve dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences l’Oscar onorario “in riconoscimento dei suoi meriti cinematografici che hanno entusiasmato e allietato il pubblico mondiale“. Federico Fellini si spegne il 31 ottobre del ’93, a Roma, per un infarto, all’età di 73 anni, lasciando un’enorme ed importantissimo patrimonio culturale che lo renderà, per sempre, memorabile.