Un monito per l’uomo contemporaneo che cerca in tutti i modi di esorcizzare la sua paura della morte

Il secondo componimento che compare nella raccolta del poeta Ettore Tesorieri s’intitola Miseria dell’humana vita. In questo sonetto il poeta Tesorieri riprende un tema tipicamente rinascimentale, appartenente alla poetica contenuta nei Canti Carnascialeschi di Lorenzo De’ Medici.

Cosa rappresentavano? Il topos tipicamente letterario della vita che è destinata al suo termine, quindi a finire prima o poi. La tematica della caducità della vita è presente nel pensiero filosofico del platonismo e dell’epicureismo di età rinascimentale, che fioriva nella corte medicea attraverso il pensiero formulato dall’Accademia Platonica.

Epicuro, il filosofo greco, diceva che tutta la realtà che ci circonda è composta da particelle materiali, chiamate atomi. Persino l’anima è composta da questi atomi finissimi che al momento tragico della fine della vita si disgregherebbero. Di qui, il celebre invito epicureo a non avere paura della morte: perché finché ci siamo noi non c’è la morte (ovvero la disgregazione delle particelle vitali dell’anima) e quando questa arriva non ci siamo più noi e dunque non proviamo alcun dolore.

La visione di Epicuro appare nel poema del poeta latino Lucrezio, autorre del De rerum natura, che costituisce anche un altro modello letterario del nostro poeta andriese in questo componimento. Lucrezio era conosciuto per il suo pessimismo a dir poco velato, cerca di dare risposte al senso e agli interrogativi dell’uomo, ma la sua visione rimane circondata dall’inesorabile trascorrere del tempo, che porta alla definitiva dissoluzione della vita e dell’essere.

Molto bella è l’espressione del poeta Tesorieri, che chiude il sonetto: “veggio sparir, come sovente io vidi gelo al sol, paglia al fuoco, fumo al vento”, che rimanda al senso di vanità dell’uomo avido nei confronti della vita, che deve prima o poi far i conti con la morte.

Da qui, un monito per l’uomo contemporaneo che cerca in tutti i modi di esorcizzare la sua paura della morte.

Buona lettura.

MISERIA DELL’HUMANA VITA

O NOSTRA vita rapida, e fugace;

Spoglia del Tempo; ed ombra de la Morte;

Serva del Mondo; e gioco de la Sorte;

Esca d’ogni desir vano, e fallace:

Troppo al primo apparir diletta, e piace

Il bello, e ‘l vago tuo; l’ardito, e’l forte:

Ma quel ben col piacer l’hore ha sì corte,

Ch’ad un punto gradisce insieme, e spiace!

Misera in qual valor dunque confidi?

Perché sì altera vai, s’ad un momento,

Hor t’attristi, hor t’allegri, hor piangi, hor ridi?

Ah! Ch’ogni gioia presso al tuo tormento,

veggio sparir, come sovente

io vidi gelo al sol, paglia al foco, e fumo al vento.


FonteVanitas, Pieter Claesz, 1630 (wikimedia.org)
Articolo precedenteFresca d’inquietudine è la sera
Articolo successivoLa scarsa persuasione di Matteo
Giuseppe Volpe è nato nel 19/04/1986 ad Andria. Ha conseguito nel 2010 la laurea triennale in Lettere classiche con una tesi in Didattica del greco sugli epigrammi erotici di Paolo Silenziario, poeta bizantino, conseguendo nel 2013 la laurea magistrale in “Filologia, letterature e storia dell’antichità” con una tesi in Paleografia greca. Pubblica nel 2006 la sua prima raccolta di poesie, “La natura dei simboli”, e nel 2008 la seconda raccolta poetica, “Il fuoco”, e poi nel 2013 la terza, “Piccolo Canzoniere, poema d’amore tra l’anima e Dio”. Ha partecipato a vari concorsi letterari ottenendo ottimi risultati, collaborando anche con artisti locali per la produzione di spettacoli teatrali.