Manca poco al 4 dicembre e la capacità persuasiva di Renzi rischia di sprofondare

Con il Referendum Costituzionale ormai alle porte, il premier Matteo Renzi potrebbe dover mantenere una promessa fatta a suo tempo. Le dimissioni, minacciate in caso di vittoria del NO, sono state un’arma a doppio taglio per chi ha cercato, insistentemente, di giustificare il voto e considerare necessaria la chiamata alle urne. Probabilmente, però, l’harakiri di Matteo ha avuto origine da una errata scelta comunicativa; prima fra tutti l’idea di accostare l’auspicabile riforma al nuovo sistema elettorale: l’Italicum.

Benché, infatti, la volontà di garantire un premio di maggioranza a chi raggiunge il 40% dei voti o a chi vince il ballottaggio, ci avvicinerebbe ai governi Cameron e Obama, resta difficile immaginare un assetto elettivo simile, ad esempio, a quello di una monarchia. Ad accumunarci, invece, sarebbe un monocameralismo che renderebbe più globalizzato e globalizzante la nostra concezione della cosa pubblica.

Ciò che, probabilmente, Renzi non ha saputo spiegare nel migliore dei modi è il risparmio che la riforma comporterebbe. Non stiamo parlando tanto dei vitalizi, quanto della decurtazione delle spese indirette che si avrebbe se una legge fosse approvata solo da un organismo decisionale, anziché due. Persino la questione del numero dei senatori è ancora soggetta a critiche e interpretazioni. Secondo i sostenitori del NO, la riduzione da 315 a 100 parlamentari sarebbe un inganno poiché questi non verrebbero comunque nominati e incaricati dal popolo. A dire il vero, gli italiano sarebbero, in ogni caso, liberi di votare i 21 sindaci designati a rappresentarci così come i 75 consiglieri regionali che sarebbero poi, con votazione di secondo grado, eletti senatori. E se qualcuno obiettasse che la maggior parte dei “Primi Cittadini” sia appannaggio del PD, e, conseguentemente, di un lapalissiano e renziano conflitto di interesse, dovrebbe ricordarsi che questa Costituzione non è pensata per il breve periodo, ma per resistere alle intemperie democratiche dei vari schieramenti e poli che nasceranno nel tempo.

La Costituzione fu articolata, ab imis, con il preciso intento di considerare un opportuno vernissage, ammodernamento fortemente voluto da tutti i 75 padri costituenti e, soprattutto, dal Presidente della Commissione, Meuccio Ruini, innovativo nello spirito e nella critica progettualità. Nonostante contempli al suo interno un articolo cosiddetto di “garanzia d’eternità”, la Carta Costituzionale tedesca (ovvero la Legge fondamentale della Repubblica Federale) è stata ritoccata ben 58 volte, allo scopo di unificare i bisogni di un Paese scosso dalle guerre e risorto dalle proprie ceneri.

Unità riscontrabile anche nel Titolo V della seconda parte della Costituzione, quello che, a detta di molti, se nuovamente riformato, minerebbe l’autonomia delle Regioni in riferimento a temi, quali ambiente ed energia. L’accentramento della problematica permetterebbe all’esecutivo statale di dirimere annose questioni relative all’isolamento e alle lungaggini burocratiche di alcuni territori forse ancora troppo emarginati (Sicilia e Sardegna).

Manca poco al 4 dicembre e la capacità persuasiva di Renzi rischia di sprofondare nelle sabbie mobili di un giuramento un po’ frettoloso e superficiale, restando, però, a galla su una poltrona difficile da lasciare. D’altronde, se abdicare fa paura, cambiare è segno di coraggio!