Niente scava dentro gli uomini e li riporta in superficie, alla luce, come la musica
“The legend of Ennio Morricone”. 27 agosto 2019, Cattedrale di Trani, una serata serena e calda. Molti sembrano occupare un posto solo per essere tra i pochi, visi cupi, sperduti, begli abiti per l’occorrenza, apparenza distribuita senza equità. Poche sedie vuote eppure i biglietti sono costosi, siedo nelle prime tre file, ho bisogno di guardare prima che di ascoltare. I maestri d’orchestra sono dietro il palco in attesa dell’inizio. Una cantante giovanissima, Giorgia Amoruso, si avvicina ad un pianoforte dietro cui siede il pianista Nico Arcieri. Le prime note di una canzone diamante della musica italiana, “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla, danno il “la” a Giorgia che comincia a cantare.
La voce è molto tecnica, potente, ma il cuore è assente, dovrebbe essere come recitare una poesia. Applausi, resto basito. Altre note, di un altro miracolo musicale italiano, “Almeno tu nell’universo” di Bruno Lauzi. Anche qui si sente che è brava ma non mi emoziona. Allontana durante gli acuti il microfono ma in realtà distanzia la “grazia” perché l’età non conta, devi sentirla tua la canzone come fosse un paio di scarpe comode dentro cui affrontare una delle tante strade della vita. Il pubblico applaude nuovamente. Mi chiedo il perché di quell’esibizione, sembra un favore, una possibilità canora. Sono cinico ma non puoi toccare il cielo e le stelle con le mani chiuse.
La presentatrice, giovane anche lei, quasi non la sento, attendo impaziente l’inizio, scruto i vestiti scuri, conto gli strumenti, rubo attorno per respirare l’aria prima che riceva l’odore delle note. Il direttore di orchestra, Ensemble Symphony Orchestra, Giacomo Loprieno illustra una prima scaletta del concerto. Non vedo l’ora. Mission, C’era una volta in America, La leggenda del pianista sull’oceano, C’era una volta il West, Nuovo Cinema Paradiso, The Hateful Eight (primo Oscar per la colonna sonora a Morricone per una delle sue meno melodiche), C’era una volta in America, Per qualche dollaro in più, Malena. Ha ricevuto un altro Oscar alla carriera Morricone, un uomo minuto e maturo, un artigiano della musica, un poeta. E ancora 500 colonne sonore, 70 milioni di dischi venduti nel mondo, sei nominations, tre Grammy, quattro Golden Globe e un Leone d’Oro.
Non posso non accorgermi dell’acustica imperfetta, distorsiva, sui corali e meno sugli assoli. Un nodo in gola. Sul palco, i musicisti, tutti bravissimi, ispirati: il violoncello di Ferdinando Vietti e la tromba di Stefano Benedetti. Il soprano Veronica Senserini e lo straordinario, celestiale, violino di Attila Simon (del Circle du Soleil ). Recita dei brani tratti dagli omonimi film, l’attore Matteo Taranto (e mi ridomando se la sua presenza sia necessaria, ma mi ricredo sul finale del concerto, in un intenso stralcio del monologo di Novecento scritto da Alessandro Baricco).
Il direttore Loprieno promette con la sua voce gentile, una versione particolare di “Chi mai” dal film di Tornatore “Malena”: la pulirà dalla campagna, dalla pioggia, dalla nebbia per darle “violini”, “fiati”, “legni”, “percussioni”. Pelle d’oca.
Applaudo, tutti in piedi, come me. Riprendo la via di casa. Ringrazio, come se stessi recitando una preghiera laica, l’immenso di quegli artisti che ha raschiato via la ruggine della solita vita uguale al solito.