«Dobbiamo far uscire l’Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l’Italia diventi un paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto dei cittadini al lavoro, alla libertà e alla pace». Palmiro Togliatti

Un signore gentile di 80 anni, età confidata subito, presentatomi da un amico, mi ha domandato se potevo insegnarli a scaricare le foto scattate con la sua nuova macchina fotografica Reflex, lui non è capace. Si ferma, mentre io prendo un portatile con il programma che dovremo usare, a leggere stupito i fogli di carta in pergamena appesi alla parete, ricordo del mio verbo “io spero” e “io credo”: titoli, certificazioni e attestati vari che il buon cuore di mia moglie ha arredato alla meglio senza la mia autorizzazione perché mi imbarazzano. Mi fermo un attimo accanto a lui e tento una battuta «è solo carta igienica firmata!». Ricevo un «non dica sciocchezze è cultura è educazione!».

Lo invito a sedersi. Mi chiede scusa per l’irruenza e la fretta ma, riferisce, alla sua età ritiene il tempo un dono prezioso. Tira fuori dalla tasca della giacca di un completo scuro ed elegante delle banconote, dichiarandosi disposto a pagare il disturbo: gli rispondo che quel tipo di tempo non si vende ma si può regalare senza alcun problema. Sorride. Ci sediamo e computer davanti, comincio da ciò che reputo l’inizio di quella lezione che non richiede una laurea o una specializzazione ma solo pazienza. In poco più di un’ora il signor Eugenio, professore di educazione fisica in pensione, si confessa soddisfatto e preparato. Mi chiede chi abbia votato e gli rispondo che non credo più nella politica. Mi rimprovera. Comincia a mentovare tempi passati, casa di uomini onesti e capaci. I figli vivono nel Nord Italia, ha dei nipoti che vede tramite video chiamate sul cellulare. Si sente solo, sua moglie è morta di cancro 6 mesi fa e lui ha provato un dolore immenso che lo ha consumato, se pensa troppo impazzisce. Si alza e dal suo zaino prende un libro di Giorgio Bocca, lo apre là dove ha riposto uno dei tanti segnalibri fatti di pezzettini di carta e legge:

«Dobbiamo far uscire l’Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l’Italia diventi un paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto dei cittadini al lavoro, alla libertà e alla pace».

Fa una pausa e mi parla a ruota libera: «Queste parole le ha pronunciate Palmiro Togliatti, un uomo e un politico che era orgoglioso di riconoscersi in un partito comunista che aveva rispetto per la cultura, colto e abbastanza libero: poco prima di morire aveva confidato alla Rossana Rossanda di essere dispiaciuto di non aver fatto abbastanza per la cultura italiana, di sentirsi in debito con la cultura non comunista.

Togliatti nasce nel 1893 a Genova da una famiglia piccolo borghese e si laurea in giurisprudenza.

Insieme ad Antonio Gramsci, nel 1921, a Livorno, fonda il Partito Comunista di cui sarà per ben 36 anni segretario, dal 1927 sino al 1964 anno della sua morte. Nel 1945 il Partito Comunista italiano conta 1.700.000 iscritti, quasi una sezione in ogni comune. Togliatti auspica un incontro con i cattolici, un collaborazione democratica. Nel 1946 il Partito Comunista è il terzo d’Italia dopo quello democristiano e quello socialista.

Il 2 giugno del 1946 si vota per eleggere l’Assemblea Costituente e per decidere con un referendum se mantenere la monarchia o creare una repubblica: 12.718.641 italiani votano per la repubblica, 10.718.502 per la Monarchia. Nell’Assemblea i Democristiani, i socialisti e i comunisti che hanno una maggioranza netta, lavorano di comune accordo per scrivere una Costituzione progressista e ci riescono. Togliatti vuole e ottiene l’articolo 7 della Costituzione che vede Stato e Chiesa indipendenti e sovrani.

La mattina del 14 luglio del 1948 Palmiro Togliatti e Nilde Jotti, sua compagna, escono dalla Camera dei Deputati e  a pochi metri dall’atrio di Via della Missione un giovane, Antonio Pallante, li raggiunge correndo ed esplode tre colpi con una pistola calibro 38,8: uno sfiora la testa di Togliatti, il secondo lo colpisce alla nuca e il terzo alla schiena. Togliatti si accascia e la Jotti si china per coprirlo. Pallante ha ancora due proiettili, la pistola in pugno ma esita, spara ancora un colpo che non va a segno.

Togliatti viene portato d’urgenza al Policlinico, è lucido. Il proiettile alla nuca non ha perforato la parete ossea, mentre quello alla schiena è arrivato sino all’ilo del polmone sinistro. L’attentatore ha usato delle pallottole in dotazione alla polizia americana, adatte più a ferire che uccidere. Giungeranno anche delle false notizie di morte da agenzie d’informazione. Invece si riprenderà lentamente.

L’attentatore è siciliano, nella camera di una pensione anonima in cui alloggia tiene una copia del Mein Kampf di Hitler: alla polizia che lo arresta dichiara di aver sparato perché considera Togliatti l’uomo più pericoloso della politica italiana. Togliatti dirà appena cosciente del suo attentatore: «Che fesso, mi ha sparato quattro colpi e non mi ha finito».

Nel 1954 il leader propone ai cattolici di lavorare assieme per scongiurare la minaccia di una bomba atomica ma pare che questi ultimi non abbiano preso sul serio il suo impegno. Ai suoi funerali nel 1964 partecipano circa un milione di persone, da ogni parte d’Italia, dietro il feretro e altre centinaia di migliaia lungo il percorso da Via delle Botteghe Oscure, sede della direzione comunista, per piazza Venezia, via dei Fori Imperiali, Via Cavour, sino a San Giovanni: alcuni salutano con il pugno chiuso, altri con il segno della croce, altri chinando la testa, altri in lacrime».

Il signor Eugenio si congeda ma promette di venirmi a trovare qualche volta perché parlare fa bene, soprattutto ascoltare.