Abdu il sopravvissuto e Osas l’annegato… frammenti di conversazione mediterranea nell’infausta era Salvini

Io non sto con Salvini”, ho detto questo pomeriggio al mio amico nigeriano, quasi a giustificarmi di essere italiano e per rassicurarlo in questo brutto frangente storico.

“Lo so – mi ha risposto –: tu hai il cuore africano”.

Mi è parso un bel complimento. Il più bello che abbia ricevuto di recente.

“E come l’hai capito?”, ho incalzato Abdu.

“Da come mi accogli: con l’abbraccio”.

A distanza di tre anni dall’arrivo in Italia, Abdurahim teme il rimpatrio.

Vivere nel Meridione, per lui, è stato tutt’altro che una “pacchia”.

Arrivarci è risultato pericoloso e devastante.

Si commuove ancora, Abdu, nel pensare all’amico Osas e ai pianti della madre quando ha saputo del figlio inabissato. È accaduto, come ieri, a poche miglia dalle coste libiche.

“Eravamo in cento sullo stesso barcone. Ha cominciato a cedere dal basso, succhiando acqua appena lasciata Tripoli. Poi è colato a picco, mentre Osas era ancora in quel ventre affollato. Morto annegato!”

Per giustificare la traversata, entrambi, Osas e Abdu, avevano lavorato per svariati mesi in Libia come imbianchini: “Tingevamo di bianco le pareti, mentre le nostre vite continuavano a essere tinte di nero”.

In Italia Abdu ha vissuto per alcuni mesi al CARA di Bari, poi si è spaccato la schiena nei campi di Calabria, “dove gli affari li fanno i caporali della ’ndrangheta, violenti e di poche parole”. Così dice.

Che ne dice il ministro dell’Interno?

Ora Abdu chiede qualche spicciolo di euro e di umanità all’uscita dai supermercati.

Se lo abbracci, risorgono: lui e il fantasma di Osas che lo accompagna!

“Il mio Dio è grande, non teme Salvini… che non incontra i migranti, sembra ringhiare quando parla, ricerca il potere attraverso il voto di pancia degli italiani e vive di istinti. Dio ha altri progetti”.

E poi… “Osas non mi ha lasciato! Resisteremo insieme: io su questa terra, lui dal fondale degli abissi”.

Oggi finisce il Ramadan: m’invita alla festa.


FontePhoto credits: Renato Brucoli
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Renato Brucoli (Terlizzi, 1954) è editore e giornalista pubblicista. Attivo in ambito ecclesiale, ha collaborato con don Tonino Bello dirigendo il settimanale d’informazione religiosa della diocesi di Molfetta e il Settore emerge della Caritas, in coincidenza con il primo e secondo esodo dall’Albania in Italia (marzo-agosto 1991) e per alcune microrealizzazioni di ambito sanitario nel “Paese delle Aquile”. Nella sfera civile ha espresso particolare attenzione al mancato sviluppo delle periferie urbane e fondato un’associazione politica di cittadinanza attiva. Ha anche operato nella Murgia barese per la demilitarizzazione del territorio. Autore e curatore di saggi biografici su don Tonino Bello e altre personalità del Novecento pugliese, dirige la collana Alfabeti per le Edizioni Messaggero Padova. Direttore responsabile della rivista Tracce, collabora mensilmente con il periodico La Nuova Città. È addetto stampa per l’associazione Accoglienza Senza Confini Terlizzi che favorisce l’ospitalità di minori bielorussi in Italia nel dopo Chernobyl. L’Università Cattolica del Sacro Cuore, per la quale ha pubblicato una collana di Quaderni a carattere pedagogico sul rapporto adulto-adolescente, gli ha conferito la Medaglia d’oro al merito culturale. L’Ordine dei Giornalisti di Puglia gli ha attribuito il Premio “Michele Campione”: nel 2013 per l’inchiesta sul danno ambientale procurato da un’industria di laterizi; nel 2015 per la narrazione della vicenda umana e sportiva di Luca Mazzone, campione del mondo di paraciclismo.