Vincitrice del Premio César 2019, è una fiaba noir

L’incipit è quello delle fiabe…

C’era una volta, non tanto tempo fa, una bambina mulatta, di nome Dilili.

Dalla Nuova Caledonia s’imbarca clandestinamente su un piroscafo per la Francia, con l’aiuto dell’anarchica libertaria Louise Michel, e si trova catapultata nella Parigi della Belle Epoque. Qui cerca di scoprire il mistero della scomparsa di tante sue coetanee. La aiuta nell’impresa Orel, un giovane fattorino, che con il suo triciclo la scorazza per tutta la città: dall’Opera a Montmarte fino al Museo d’Orsay. Dilili rimane incantata dalle bellezze della capitale francese e dai suoi protagonisti: Picasso, Toulouse-Lautrec con le sue ballerine, gli impressionisti Monet, Renoir, lo scultore Rodin, e poi ancora Satie, Pasteur, Proust, Eiffel, e le donne rivoluzionarie Marie Curie, Sarah Bernardt, Colette. Ognuno di loro le lascia un indizio per la sua indagine.

Una fitta lista di personaggi che Dilili conquista con un inchino, muovendosi tra loro con la freschezza e la curiosità tipica dei bambini. Ma il mistero sui cui indaga si infittisce, trasformandosi in un thriller: scopre che è la setta dei maestri uomini a tenere prigioniere le ragazzine scomparse, costringendole anche a camminare a quattro zampe e a indossare il velo.

Dilili a Parigi, vincitrice del Premio César 2019, è una fiaba noir, che il maestro dell’animazione Michel Ocelot, già autore di Kirikù e la strega Karabà e di Azur e Asmar, racconta in modo fresco e ironico, affrontando temi forti come il razzismo, la violenza sulle donne, lo scontro tra culture e il senso più profondo dell’opera di alcuni artisti.

Dilili non è nera come gli abitanti della Nuova Caledonia, ma è mulatta e sperimenta il disagio e l’offesa di chi è emarginato per il colore della pelle. Perciò fugge via. Forte e determinata, questa ragazzina, che sembra uscita dai classici della letteratura per l’infanzia, riesce a farsi strada in una Parigi multietnica, ma pur sempre bianca e lei non lo è, anzi il colore della sua pelle è di nuovo un problema perché ora troppo scuro; portatrice di una consapevolezza contemporanea, diventa una speranza per tutti i giovani immigrati di seconda e terza generazione che oggi non si sentono pienamente integrati.

I maestri del male, misogini con l’anello al naso che si nascondono nelle fogne parigine, sono gli uomini che, spiazzati dall’emancipazione intellettuale e sociale delle donne, pensano di doverle schiacciare affinché non raggiungano i propri obiettivi. Per questo le fogne buie di Parigi trasmettono un senso di angoscia, perché diventano simbolo della prigione e della sottomissione a cui gli uomini costringono le donne.

«Attenzione, non dobbiamo retrocedere» sarà, infatti, il monito che Marie Curie, prima donna premio Nobel, rivolge a Dilili. La Curie non è l’unica donna che Dilili incontra nelle sue scorribande: tra le altre, conoscerà anche Camille Claudel, l’attrice Sarah Bernhardt, la soprano Emma Calvé, paladine delle prime battaglie per l’emancipazione della donna in una Parigi colta e raffinata, fucina di novità artistiche, culturali, scientifiche.

Ocelot è così affascinato da questa città che decide di non ricrearla in modalità animata, ma di lasciarla così com’è, sfondo fotografico vero e attuale per le avventure della piccola Dilili, che ce la fa riscoprire, muovendosi tra grandi monumenti e grandi leggende dell’arte, della cultura, della scienza con il suo sguardo innocente e pieno di meraviglia; quello sguardo con cui ammira in tutto il suo splendore gotico la guglia della Cattedrale di Notre Dame, commuovendo lo spettatore che la rivede oggi sullo schermo dopo l’incendio che l’ha deturpata.

È la stessa Parigi al suo massimo fulgore, che già aveva raccontato Woody Allen in Midnight in Paris. E se l’ammirazione dei due registi corre sullo stesso filo, il maestro francese carica il film di sfumature forti.  Più che un cartoon per bambini Dilili a Parigi è un film d’animazione per i più grandi: un’anima fiabesca e leggera, rappresentata dalla luce e dai colori della città, si intreccia ad una oscura, che si nutre del buio delle fogne, regno di uomini misogini e violenti.

Nell’insistita contrapposizione fra luce e buio, tra emancipazione e oscurantismo, il film, che in alcuni momenti risulta didascalico per l’eccesso di personaggi presentati, rasenta la retorica del politicamente corretto, ma il messaggio resta importante: la forza della cultura deve salvarci in un mondo d’ignoranti, insegnandoci anche la necessità e la bellezza di un rapporto paritario tra uomo e donna.