Un tormentone, stucchevole e incomprensibile
C’è troppa gente in giro. È diventato un tormentone, stucchevole e incomprensibile. Se nelle regioni gialle e arancioni è consentito, senza alcun limite consistente, circolare fino alle 22, ciascuno decide se stare o meno in strada a seconda delle necessità, delle valutazioni sui rischi che intende correre o di cui ha consapevolezza. Né si vedono alternative. Si invocano i controlli, ma gli assembramenti che vengono dispersi qua si riformano là, né, fatte salve le situazioni più gravi, si possono punire i gruppi di persone. Anche le sanzioni amministrative sono personali. Anche punire gli esercenti non è un’opzione. I ristoratori sono già stremati dalla crisi. Si rischia la “rivoluzione” a multarli per un tavolino di troppo o qualche centimetro di distanza in meno. A livello nazionale, manca una politica in grado di imporre soluzioni più rigorose. Dopo milioni di contagiati, quasi centomila decessi e centinaia di migliaia di ammalati, lo spettro – sempre più consistente – della terza ondata non incute il timore necessario per l’adozione di comportamenti più cauti. Del resto si vive in un contesto di regole apparentemente confuse e contradditorie. Al ristorante o al bar si può stare vicini senza mascherine mentre in strada è obbligatorio indossare il dispositivo anche se nei paraggi non c’è nessuno. A pranzo aperti, la sera chiusi. Forse che il virus opera per fasce orarie? Dad, did, presenza (e i ragazzi comunque in giro ad accalcarsi nei soliti luoghi di ritrovo). Certo dopo molti distinguo e un’analisi serrata che, peraltro, richiede competenze specialistiche, si può anche riuscire a cogliere un qualche filo logico della disciplina. Ma è troppo tenue. Prevale l’inerzia, prevale la stanchezza, l’appello alla responsabilità cade nel vuoto. Si fruisce di tutta la libertà disponibile, com’è normale che sia in una società “liberale”.
Capitolo Movida. Sono sempre più frequenti i titoloni che, nei weekend soprattutto, denunciano le solite “baracconate” di ragazzi per strada che ballano, cantano sbevazzando, sprovvisti di mascherine. First reaction, shock. E poi indignazione, sconcerto, indici elevati con intenzioni minacciose. Di nuovo si invocano sanzioni, controlli, punizioni. Ma per favore. Oggi i media scoprono l’aspetto funesto della movida che troppi amministratori locali, di ogni sponda politica, hanno alimentato per trasmettere l’immagine di città vitali, vivaci, boys and girls friendly. Certo meglio tardi che mai, anche se – date queste premesse – è fondato il timore che quando avremo messo (speriamo al più presto) alle spalle la pandemia si tornerà alla consueta accondiscendenza nei confronti di un fenomeno da correggere nei contenuti e nei luoghi. Ben venga – ci mancherebbe – l’aggregazione giovanile alla quale non si può certo chiedere di essere silenziosa. Nulla di male in sé se i “nostri” ragazzi bevono una birra, un cocktail, cantano e ballano. Hanno il sacrosanto diritto di divertirsi e di farlo nelle forme e nei modi che credono ma non senza limiti, come accade nelle piazze e nelle strade dei centri storici italiani, dove l’impatto di questa libertà sulla vita dei residenti è devastante. Occorre ripensare le forme e i luoghi perché dovrebbe essere arrivato il tempo di comprendere che il cuore antico delle nostre città non può più essere vissuto come un far west senza regole. Oggi che c’è il virus e domani che l’avremo sconfitto.