
Ecce homo!
Mi dolevano i piedi al tanto camminare. La mostra delle opere maggiori di Michelanagelo Merisi, detto il Caravaggio, a palazzo Barberini ha comunque indiscutibilmente qualcosa di doloroso. Per scaricare il peso del corpo nei tempi lunghi in cui m’ incantavo, la schiena si irrigidiva. Le persone con cui mi accompagnavo si erano dissolte, i soggetti dalle pareti hanno cominciato a muoversi. Poi ad urlare.
Antico e nuovo Testamento, santi nel martirio e Gesù nel suo transito terreno più cruento. Mi sono confusa. Come rapita dalle luci e dai famosi chiaroscuri, quello che mi arrivava erano soprattutto parti anatomiche. Come in una ressa dove la paura è di essere travolti, ecco il sudore e il calore dei corpi accalcati. Le cosce poderose e i polpacci degli aguzzini nella flagellazione di Cristo davano il rumore sordo dei gesti secchi. I corpi spogliati erano nudi, fallibili, vinti e puri. San Giovanni Battista dal petto adolescente e glabro, David bimbo che regge la testa mozzata di Golia, Giuditta bellissima coi seni tesi e le labbra socchiuse mentre decapita Oloferne.
Niente era lontano, il dolore o l’estasi a portata di mano. La contemporaneità regnava sovrana.
Il dolore non ha tempo, come pure l’orrore.
Se un uomo inquieto e a volte folle come il Merisi ha visto e riprodotto tanto, sperare è reale.
Infine ero sfinita, cercavo una sedia per riposare
Quei dipinti, restano visioni.
Quelle visioni, uniche certezze di un genio che dipingeva corpi mentre vi passava in quell’istante preciso l’anima.
Concluso il percorso, la città eterna ci riaccoglieva generosa e ruffiana, le palme ondeggiavano liete e ingenue.
Ho pensato: “ecce homo”.