«Abbiamo incontrato un’umanità interessante, che merita di essere raccontata e conosciuta, al di là degli stereotipi e pregiudizi sulla detenzione»
Si è concluso in un clima di festa e convivialità il percorso formativo Caffè Ristretto, avviato lo scorso gennaio presso la Casa di Reclusione Femminile di Trani, a cura della dott.ssa Marianna Matera e della dott.ssa Emanuella Cannone.
L’iniziativa, prontamente condivisa, sostenuta, coadiuvata dal Centro di Orientamento “Don Bosco” e approvata dalla Direzione degli Istituti Penitenziari di Trani nonché dal Provveditorato Regionale, ha coinvolto dieci detenute, tutte con condanna definitiva, in un gruppo di discussione, narrazione e confronto su cosa significhi essere pienamente donna, esprimere la propria femminilità, creare legami e vivere gli affetti.
L’idea progettuale era nata tempo prima dall’incontro fortuito tra due donne all’interno di una Cooperativa sociale: una detenuta in semilibertà e una psicologa.
“Quel rapporto di simpatia, alimentato nel tempo attraverso l’abitudine di prendere un caffè insieme – racconta la dott.ssa Matera – ha ispirato il titolo del progetto, che è stato realizzato durante gli scorsi mesi nel difficile contesto carcerario. Davanti a tazzine di caffè le persone si incontrano, si conoscono, talvolta si innamorano. Parlano di sogni, speranze o paure. Possono scambiarsi promesse, oppure romperle. Noi abbiamo scelto il piacevole rituale del caffè per riunirci attorno a un tavolo e proporre argomenti di discussione. Man mano abbiamo affrontato temi diversi, addentrandoci in questioni talvolta delicate ed emotivamente impegnative. Caffè Ristretto richiama la condizione di restrizione della libertà, ma fa pensare anche al fatto che oggigiorno tutto è affrettato e accelerato. In una routine, invece, piatta e stagnante, come quella carceraria, abbiamo cercato di valorizzare il tempo di ogni incontro, incentrato sulla metafora del viaggio. E in quello spazio, che si è fatto via via più interattivo, abbiamo incontrato un’umanità interessante, che merita di essere raccontata e conosciuta, al di là degli stereotipi e pregiudizi sulla detenzione”.
Il percorso, particolarmente apprezzato dalle recluse, – concludono le due psicologhe – si è rivelato un’esperienza di relazione umana, reciprocamente arricchente.
La prossima tappa, per restare in tema di viaggio, consiste nella ricerca di persone che, incuriosite dall’iniziativa, vogliano dare il proprio contributo, tecnico e/o economico, per la pubblicazione di un opuscolo che raccolga disegni, brevi testi autografi, frammenti di dialoghi e riflessioni.
La prospettiva futura è quella di proseguire le attività progettuali, finalizzate al sostegno psicologico di chi vive la realtà carceraria.
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