Giorni fa un intervento su media, da parte di un giovane cittadino, proponeva che il Comune o gli Enti pubblici acquistassero case sfitte per darle a cittadini e famiglie bisognose (si veda: Andria e il problema delle case | Odysseo di Andrea Colasuonno). Intervengo sul tema per dire che sono d’accordo con le finalità della proposta, al contrario divergo nella soluzione in quanto credo che gli enti pubblici non abbiano più né possibilità economiche né intellettuali per operare su larga scala per distribuire case.
È vero, si assiste da anni, ad Andria e non solo, nell’ambito edilizio, ad un crescente divario tra domanda potenziale e reale: le fasce di popolazione collocate al di sotto della soglia di accesso al mercato libero della abitazioni sono in rapida crescita, oltre la storica consistenza del fenomeno.
A ciò si aggiunge un disallineamento tra offerta e domanda, specialmente dovuta al modello di impresa edilizia prevalente (come accadde spesso nei nostri territori, le imprese sono più incentrate sulla edilizia intensiva e immediata che sui programmi di larga scala di natura sociale).
Insomma, l’offerta è scarsamente differenziata, incapace di allinearsi alle recenti dinamiche economiche, demografiche e sociali, sia per i moduli e i tagli, che per le tipologie di contratto e i modelli finanziari.
In passato ci sono stati molti esempi di collaborazione tra pubblico e privato per far fronte al “problema delle case”, partendo dall’edilizia convenzionata e/o sovvenzionata. Tuttavia i programmi stessi, seppur risolvendo in parte l’accessibilità ad una abitazione delle famiglie meno abbienti, hanno creato quartieri (come le zone di S. Valentino, S. Giuseppe artigiano ecc.) dove lo spazio collettivo veniva totalmente dissolto, dove le urbanizzazioni primarie e gli standard rimanevano incompiuti o non realizzati al momento dell’insediamento e rimandati a “data da destinarsi”, creando così uno scenario di desolante monotonia e di sfaldamento sociale. A ciò si è aggiunto il fenomeno, ancora ad alcuni poco comprensibile e avvenuto ad Andria, a differenza di molte città del circondario, dello spopolamento del centro storico, fenomeno in realtà inevitabile, vista la mancanza di servizi come acqua, fognature, gas e manutenzioni databili solo alla prima metà degli anni novanta.
Attualmente, aggrava la situazione un forte affievolimento degli interventi di edilizia residenziale pubblica, accentuato dalla sostanziale ininfluenza dei piani ideati dalle PP.AA. che, o per propri demeriti o per mancanza di fondi, non sono più in grado di assumersi l’onere di realizzare interventi moderni basati su qualità, servizi e tecnologia.
Si può ancora contare su un intervento degli enti pubblici per rispondere ai bisogni a cui Colasuonno si riferisce? La risposta è positiva: un’analisi del mercato abitativo non può prescindere dal ruolo centrale giocato dalle amministrazioni in quanto le politiche governative locali e nazionali condizionano l’offerta abitativa, quindi le PP.AA. devono assumere unicamente il ruolo di promotrici e regolatrici degli interventi. Quale dunque la soluzione?
Un programma di Social Housing, dotato di un progetto coerente con i fabbisogni e le opportunità del territorio, di un saldo partenariato finanziario ed operativo, delle finanze della Cassa Depositi e Presiti, che sono cospicue e disponibili, e di strategie coerenti con il contesto in cui si opera, ha buone chances di successo.
Per “Social Housing” si intende l’insieme delle iniziative e degli interventi volti ad offrire alloggi e servizi finalizzati a contribuire e risolvere il problema abitativo, con particolare, ma non esclusivo, riguardo alle situazioni di svantaggio economico e/o sociale: i suoi contenuti di qualità, innovazione tecnologica e sociale, stimolano e incontrano domanda non solo nelle fasce a reddito minore, creando così un nuovo modello insediativo rispondente ai criteri di compatibilità energetica e ambientale.
Si può intervenire per l’acquisizione del patrimonio invenduto o delle lottizzazioni non realizzate, con buona cooperazione degli Enti locali e con buone possibilità di portare innovazione alle nostre imprese, lavorando sul riuso invece che sulla espansione.
I destinatari dell’operazione non sarebbero solo le famiglie meno abbienti, ma giovani coppie, anziani autosufficienti, famiglie monoparentali, pendolari lavoratori e famiglie con esigenze di un moderno canone abitativo basato sulle più avanzate tecnologie e su strumenti di risparmio energetico, oltre che sul fitto con riscatto e a lungo termine. Così, attraverso un rilancio della cooperazione, si superano i piani urbanistici di vecchia generazione andando verso contesti di “comunità” attorno a servizi, funzioni, attività (finora lasciate ad un “mercato” certamente inefficiente e frammento), per ricucire il tessuto urbano, risanare e ridestinare i contesti degradati delle periferie e del centro storico (recentemente in netta ripresa) attraverso il mixing sociale, trascendendo i nodi storici irrisolti che da tempo caratterizzano la nostra città e diminuendo le tante ingiustizie sociali ambientali e urbanistiche ancora da risanare.
Adriana Caldarone
Proposta interessante, ma -chiaramente- da dettagliare. Perchè non organizzare un approfondimento?