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Mentre in Italia il dibattito pubblico è tutto orientato a decidere circa l’opportunità del presepe e del crocefisso nelle scuole statali, è stato pubblicato il rapporto Miur dedicato alla presenza di alunni stranieri nelle nostre scuole, relativo all’anno scolastico in corso.

In tutto gli studenti con cittadinanza non italiana che oggi usufruiscono del nostro sistema scolastico sono 805.800, cioè il 9,2% sul totale degli iscritti. La percentuale sembra essere in linea con quelle di altri paesi europei, se si considera che nella penisola iberica gli alunni non spagnoli sono il 9,4%, mentre in Germania il 7,3%.

Da noi, rispetto all’anno scorso, si sono registrate solo 3.000 unità in più, segno che, dopo anni di costante e apprezzabile crescita, il numero sembra essersi oggi stabilizzato. La presenza d’immigrati di seconda generazione (ossia ragazzi nati in Italia da genitori stranieri) ha superato quella dei ragazzi nati all’estero e poi ritrovatisi a vivere nel nostro Paese. I primi sono il 51,7% del totale degli alunni stranieri, con un incremento del 7,3% rispetto all’anno scorso.

Resta invece uguale la classifica dei paesi di provenienza. Gli alunni stranieri più numerosi sono i romeni, seguono albanesi, marocchini, cinesi, filippini, moldavi, indiani, ucraini, peruviani e tunisini. Resta la stessa anche la regione che più di tutte accoglie tale genere di utenza: la Lombardia riceve nelle sue aule 201.633 studenti non italiani. A questo proposito, i comuni nelle cui scuole la presenza straniera supera il 20%, sono quasi tutti lombardi: Pioltello, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni, oltre a Prato (Toscana), Arzignano (Veneto), Piacenza (Emilia Romagna), Alessandria (Piemonte).

“Indubbiamente le famiglie immigrate iscrivono con maggiore propensione i propri figli ad una scuola statale e sempre più prediligono tale scelta” spiega il rapporto. Fra queste, per quanto riguarda le superiori, va segnalato nell’anno in corso il sorpasso degli istituti tecnici su quelli professionali. Questi sono stati scelti dal 28,2% dei non italiani contro il 36,3% che ha scelto i primi, almeno fra gli stranieri di seconda generazione.

Il Mipex, cioè l’indice internazionale che misura le politiche d’integrazione degli Stati, assegna all’Italia il 23° posto su 38 disponibili per le sue politiche d’integrazione scolastica. Dal 2010 al 2014 il trend prevalente (non solo per l’Italia) è stato quello di un peggioramento, solo 4 anni fa il nostro Paese si posizionava al 19° posto. Nell’ultimo anno sono percentualmente diminuiti i ritardi e le complicazioni che di solito colpiscono le carriere scolastiche degli studenti immigrati, rimangono però in numero apprezzabile. Le difficoltà sono legate soprattutto alla lingua e al background culturale in cui questi ragazzi crescono, spesso completamente diverso rispetto a quello italico. Si provi a spiegare ad un cinese, che pure capisca l’italiano, argomenti quali la riforma di Lutero e il peccato di simonia e si avrà un’idea delle difficoltà che tali alunni si trovano davanti.

La quota di ragazzi stranieri che lasciano precocemente gli studi, nonostante sia andata diminuendo negli anni, è del 17%, ben al di sopra della media europea. Questa dinamica colpisce soprattutto gli alunni giunti in Italia piuttosto che quelli nati nella penisola da genitori stranieri. Anche per questo il 15,8% dei Neet è straniero. I Neet, come è noto, sono i giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro: gli stranieri in questa categoria hanno un’incidenza superiore rispetto agli italiani sulla popolazione della stessa età. Inoltre, se fra gli italiani la maggioranza dei Neet sono maschi, fra gli stranieri sono donne e ammontano al 67,3% del totale. Tale dato può essere spiegato come indisponibilità a studiare o lavorare per ragioni familiari e spesso culturali. A questo proposito, nonostante negli ultimi 10 anni ci siano stati apprezzabili progressi in ambiti quali il contrasto della dispersione scolastica o la didattica per non italiani, questi sembrano aver riguardato più l’ambito dell’associazionismo e dell’insegnamento informale, mentre ancora molto resta da fare nella Scuola di Stato.