Ridurre la fede, o le proposte religiose, a semplice culto liturgico può essere altamente riduttivo e fuorviante. L’apertura mentale e l’elemento culturale, tipico di chi ama spaziare oltre il presbiterio, porta a confrontare e verificare la “parola liturgica” con la vita: che senso ha esortare alla dottrina sociale della Chiesa e poi verificare che gli stessi esponenti del clero, in maniera molto sfuggente, hanno operato licenziamenti ambigui senza l’uso degli ammortizzatori sociali là dove possibili? E ancora: a che pro elargire elemosine “a pioggia” prima, durante e dopo gli stessi licenziamenti? O quale valore può assumere l’esortazione a non escludere gli anziani dalla vita familiare quando poi i propri anziani vengono isolati ed esiliati in “foibe” dorate?
Quale religiosità si vuole recuperare o proporre in questi contesti? Certamente la conversione che occorre non riguarda il fermo proposito di evitare un peccato o l’altro, ma la decisione di cambiare radicalmente il modo di vedere Dio, l’uomo, il mondo, la storia: è deleterio “spiritualizzare” ciò che spirituale non è. Questa operazione nega la sincerità dei rapporti e delle relazioni, nascondendole dietro parametri spirituali che non esistono, così come l’efficientismo e la tecnica non potranno mai colmare l’assenza di intelligenze, professionalità competitive e calore umano.
La cattiva pianta dello spiritualismo, privo di comportamenti storici coerenti e di alto valore relazionale esterno, va estirpata nel nome della fedeltà a Cristo stesso, non temendo per il rispetto e l’autenticità della Chiesa. Difficile risulta capire l’origine di un simile atteggiamento. Probabilmente risiede nell’incapacità di un confronto adulto e maturo con la propria coscienza.
Purtroppo si è sempre calcata la mano, forse giustamente, sulla conversione morale e sempre poco si è capito che il grande cambiamento da operare riguarda l’immagine di Dio che ci siamo fatti, un’immagine in cui l’apocalittica e l’ossessione per il giustizialismo hanno preso il sopravvento, attingendo dai Vangeli frasi sparse giustapponendole l’una all’altra arbitrariamente. In questo occorre fare molta attenzione all’integralismo da restaurazione in cui certi pseudo-neoconvertiti si vengono a trovare con fanatiche e intolleranti posizioni, dove la durezza nei confronti degli altri cancella gli spazi della misericordia. Questo inconscio voler recuperare il proprio terreno perduto risulta molto problematico, anzi patologico… quando non presta il fianco alla tentazione di una ossessiva e morbosa autoaffermazione e prevaricazione.
In un contesto di recupero della religiosità, la riscoperta della fragilità non può che giovare alla percezione di quell’annuncio che rallegra: c’è speranza per tutti, anche per il peccatore più incallito, anche per chi si sente un rifiuto umano, perché da Dio non è considerato un rifiuto, bensì un figlio.