E l’Onu quali provvedimenti prende? Nessuno. Altro che Giornata internazionale della donna…
Twitter come Ebay o Amazon, con un catalogo di domestiche straniere in vendita tra cui scegliere quella con i requisiti più adatti alle proprie esigenze.
Questa notizia sconvolgente giunge dall’Arabia Saudita, dove alcune famiglie hanno pensato di vendere le proprie donne di servizio provenienti da paesi come il Marocco, il Bangladesh, il Vietnam, le Filippine, pubblicandone l’annuncio su Twitter, completo dei dati anagrafici, del compenso e dei motivi della cessazione dell’attività. Le donne sono state messe in mostra anche nei centri commerciali. I loro paesi d’origine hanno chiesto spiegazioni all’Arabia che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta.
Per una nazione come l’Arabia, nominata membro della Commissione Onu sullo status delle donne (Uncsw) per il periodo dal 2018 al 2022, forse non basta limitarsi a una semplice inchiesta su quella che ha tutti gli estremi per essere definita una vera e propria pratica di schiavitù, un’altra violazione dei diritti umani.
E mentre l’Arabia apre la sua inchiesta, il resto del mondo sta a guardare e manifesta sconcerto e indignazione sui social.
O forse è più corretto dire ceh, più che di sconcerto e indignazione, forse si tratta semplicemente di un perbenismo di facciata che nasconde un sostanziale disinteresse per la violazione dei diritti umani, o interessi diversi e strategie ad hoc.
Quanto di concreto si sta facendo per risolvere situazioni come queste?
L’Arabia Saudita non è nuova a questo genere di episodi: le donne saudite sperimentano quotidianamente la violazione dei propri diritti: oltre a essere costrette a indossare l’abaya, il vestito lungo e nero (alcune anche il velo integrale), non possono interagire con gli uomini in pubblico, non hanno la possibilità di sposarsi, di viaggiare e di sottoporsi ad alcuni trattamenti medici senza il permesso del tutore – eh, avete letto bene: hanno un tutore che decide per loro, figura questa che nasce, in realtà, dall’interpretazione errata di un versetto del Corano. Uniche concessioni ottenute in questo ultimo anno il permesso di guidare (che porterà dei vantaggi all’economia – forse per questo è stato ottenuto?) a partire da giugno 2018 e l’accesso ai servizi governativi anche senza il consenso del tutore. Concessioni ottenute a fronte di minacce e intimidazioni: molti attivisti sono stati gentilmente invitati a non commentare il decreto reale che annulla il divieto di guida per le donne per non incorrere in conseguenze legali. Lo scorso 23 gennaio, inoltre, la studentessa universitaria Noha Al Balawi, della città di Tabuk nel nord ovest dell’Arabia Saudita, è stata arrestata perché ha difeso sui social i diritti delle donne saudite.
Se questo è il contesto, non deve stupire affatto che delle domestiche, per di più straniere e pertanto con l’obbligo di avere un garante locale per poter soggiornare, siano state messe in vendita su Twitter.
Incredibile a dirsi, l’Arabia già faceva parte del Consiglio sui diritti umani e un suo rappresentante, Faisal Bin Hassan Trad, nel 2015 era stato eletto presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc). Eppure la nazione non ha accettato i trattati dei diritti umani, le violazioni si sono perpetrate e sono ben documentate al punto che il Queen’s Councel britannico ha sottoposto un’opinione legale formale al Consiglio dell’Onu con l’obiettivo di chiedere il ritiro dell’Arabia dalla comunità internazionale.
E l’Onu quali provvedimenti prende? Nessuno. Troppi sono gli interessi internazionali in gioco. Forse per questo vengono chiusi entrambi gli occhi o, se si vuol essere indulgenti, visto che si è appena celebrata la “Giornata della donna”, si potrebbe pensare che accogliere l’Arabia nella commissione sullo status delle donne possa essere stata una mossa strategica per sensibilizzare questo Paese contro la violazione dei diritti delle donne.
Una speranza in tal senso è sicuramente l’elezione, il 27 febbraio scorso, come nuova vice ministra del Lavoro saudita, di Tamadhir bint Yosif Al Rammah. La speranza è che la presenza di una figura femminile nel governo possa essere un monito per un cambiamento e possa dare un contributo importante per la causa delle donne.
Illudiamoci di poter coltivare questa speranza…