Nel bene e nel male, non si avrà in regalo un solo giorno di vita in più

Una scrittrice giovane, italiana, ha rivelato di avere un carcinoma al quarto stadio con metastasi. Non lo combatterà.

Spero, cara scrittrice, che tu ti sia persa almeno una volta nella vita, che tu ti sia ritrovata come l’aviatore del Piccolo Principe in un deserto lontano da casa.

Un proverbio tuareg dice: «Dio ha creato un paese pieno d’acqua perché gli uomini possano vivere e un paese senz’acqua perché gli uomini abbiano sete, e ha creato il deserto: un paese con e senz’acqua, perché gli uomini trovino la loro anima».

Non devi trovare un dio, sarai atea, sarai agnosta. Non deve essere il dio di Spinoza o Kant. Hanno già guardato prima di te e me nell’universo, l’unica luce è quella delle stelle. Non esiste nessun dio, piuttosto qualcosa di miracoloso si nasconde sempre in qualcosa e qualcuno. Chiamala fede o religione o amore o amicizia. Un nome non può misurare la grandezza di quanto si riceve e restituisce in umanità.

Prega te stessa e gli altri perché non è in un cielo ma nella distanza tra un essere umano e l’altro, nel bisogno di capirsi per spiegarsi e poi infine nel saper spiegare anche ciò che non sa di nulla.

Qual è il nome che hai pronunciato spesso dinanzi alla paura che non ha consolazione?

È inumano sopravvivere a chi si ama, assistere alla sofferenza, prepararsi al distacco fisico. Ducimur ut nervis alienis mobile lignum.

Magari sentirsi forti sulla terra solo perché si ha il potere dell’amore e dell’odio, poi impotenti spettatori di qualcosa di insensato e inevitabile come una semplice vita umana.

La morte giunge indifferentemente per chi è un sovrano o un servo, non è privilegio né ricompensa. È solo il nulla del corpo e altro della vita interiore.

Il tempo di morire può diventare il tempo ultimo per affermare la verità o la bugia che siamo.

E dunque chi non abbiamo avuto il coraggio di essere in questa sola e unica vita?

Scopriamolo, apriamo anche noi la casa che ci ospita, diamo un palco alla gioia e alla paura. Spettatori delle ultime cose che vedremo e attori di una decorosa paura. L’essere umano che prossimo alla fine preferisce il silenzio o è dio o è una bestia. L’ultima carezza, le ultime parole.

Quello che avremmo e non abbiamo fatto, detto. Se chi avrà freddo senza di noi potrà avere di che coprirsi, da mangiare. Se riusciranno a vederci laddove siamo stati.

Eppure non era granché, un bel respiro, tutti disposti ad ascoltare velocemente, disperatamente attenti e poi disperatamente e velocemente silenziosi da abbandonare senza motivo oramai sazi. È una fame di vite altrui patologica e bucolica, ci scopre tutti incapaci di vivere compostamente e dignitosamente.

Avevamo costruito un castello in cui vivere da sovrani senza più nulla di noi da custodire e proteggere, senza porte che ne difendevano l’intimità. Abbiamo reso conto del coraggio e della fragilità senza che vi sia stato tra queste un limite fisiologico. Siamo diventati metaforicamente un frigorifero umano, continuamente aperto e saccheggiabile.

Forse è il momento di comprendere che ci sono cose che non salvano la vita quando diventa insopportabile ma regalano per breve tempo l’approvazione del popolo dei moderni cannibali di emozioni che siamo.

Il castello a un certo momento crolla, resta qualche pietra su cui ci arrampica disperati in bilico per sentirsi un po’ più alti dell’insostenibile.

La speculazione non è quella della religione cristiana sulla morte, sulla sofferenza,  sulla cosiddetta bigotta “teologia retributiva”: se sei buono Dio è buono, se sei cattivo Dio è cattivo.

Nel bene e nel male, non si avrà in regalo un solo giorno di vita in più.

Non nascondiamoci dietro cose più grandi di noi, non esiste un senso. È un viaggio che vede muoverci limitatamente e fisicamente tutti nello stesso posto ma, basta crederci, regala la possibilità meravigliosa di terminare ovunque e con chi vogliamo.