«La gente pensa che la mia vita sia stata dura, ma io penso che sia stato un viaggio meraviglioso. Più invecchi, più ti rendi conto che non è quello che succede, ma come lo affronti»
(Tina Turner)
Qualche giorno fa, una mia carissima amica mi illuminava a proposito del concetto di Essere e tempo di Martin Heidegger. Mi spiegava: «La radicalità dell’emozione o come dice lui il sentire del momento frutto dell’esperire passato ne condiziona il futuro e dunque l’esistenza. Siamo “gettati” al mondo nel senso di tendere al futuro …alla progettualità e, quando questa si modifica nostro malgrado, l’Essere o l’Esistenza, come preferisco dire io, soffre. Non si sfugge al nostro tempo».
Ci ho pensato e mi son detto: dipende.
O per dirla con Jarabe de Palo: «Da come guardi il mondo tutto dipende».
Provo a spiegarmi.
Da un lato, è evidente: siamo soggetti al tempo, siamo fatti di tempo e il tempo ci segna e in-segna, segnandoci dentro, spesso con cicatrici invisibili a chi si sofferma ai sorrisi di facciata. In questo senso, ha certamente gioco facile Heidegger a sostenere che, quando il tempo irrompe a spezzare in modo imprevedibile una nostra progettualità, il nostro Essere/Esistenza ne soffre.
Vale nel piccolo come nel grande: un imprevisto, un ritardo, un piccolo incidente possono rovinare un grande progetto atteso e preparato per anni, segnandolo di emozioni negative, persino a dispetto della sua riuscita finale.
Giusto per fare un esempio, ricordo che un mio zio tenne il muso per tutto il tempo del suo ricevimento matrimoniale sol perché, proprio quel giorno, la sua Fiat 127 aveva deciso di rompersi. Quasi che la rottura di un vecchio catorcio fosse più importante della festa per aver sposato la donna della sua vita (sono passati quasi 50 anni e ancora si amano e litigano come due fidanzatini…). Non ci fu niente da fare: l’emozione negativa fu più grande della gioia e mio zio fece soffrire se stesso, sua moglie e tutti noi perché non fu capace di liberarsi dal risentimento in cui quell’imprevisto lo aveva “gettato”.
Vero. Andò proprio così.
Epperò c’è un però.
C’è che non tutti quelli che prendono una batosta nella vita, anche di proporzioni ben maggiori di quella risibile che capitò a mio zio, si comportano allo stesso modo.
C’è chi si abbatte e chi reagisce. Chi si piange addosso e chi volge l’energia negativa in positività. Chi si ferma e chi riparte.
«Sono solo belle parole», mi ha risposto una volta mio figlio che provavo a consolare dopo che aveva ricevuto una mazzata stratosferica. Gli ho risposto in maniera un tantino volgare. Traduco in un italiano più accettabile: «Non sono solo “belle parole”: sono esperienze di vita; figlio caro, non sei il primo ad averla presa in quel posto e non sarai l’ultimo, né questa è l’ultima volta che la prenderai in quel posto: e dunque?». Ha provato a ribattere: «Ma io volevo dire che in questo contesto questi insegnamenti non sono facili da applicare«. L’ho incalzato: «Il contesto è che l’hai presa in quel posto: e dunque?».
E dunque? Lo chiedo a me, lo chiedo a te, caro lettore, adorata lettrice.
Le cose possono andare storte. Gli amici possono tradirci. Gli amori possono finire. La salute può lasciarci. Il lavoro può andar male. La morte di una persona cara può arrivare improvvisa. Eccetera, eccetera.
E dunque?
Dunque, non tutti reagiamo allo stesso modo. Tutti siamo gettati nel tempo, eppure, a parità di condizioni, o almeno a condizioni apparentemente simili, c’è che chi va in una direzione e chi in quella opposta.
Un po’ come l’immortale Tina Turner ci ha insegnato: «Più invecchi, più ti rendi conto che non è quello che succede, ma come lo affronti».
Ed è esattamente questo che mi dà speranza. È questo che mi fa credere che, tra i mille determinismi che ci costruiscono e incastrano, una persona possa ancora, pur nel suo piccolo, fare la differenza.
Purché abbia il coraggio di attraversare la sua amarezza per crescere in consapevolezza e umanità. Purché sia in grado di abbracciare il suo tempo, lo stesso che lo crocifigge.
Ad una condizione, io credo: che lo viva come un tempo “pieno” e non “vuoto ”, un tempo con un “senso”, quello che si cerca con le unghie e parole incarnate, non quello di un immanente e incombente Sheol.
Perché non è affatto vero né scontato che il tempo farà il resto.
Il tempo ti uccide, letteralmente e fisicamente, ad ogni secondo che passa, che potrebbe essere sempre l’ultimo e non darti il modo di dire o ascoltare parole non dette.
Finché c’è tempo, però, la differenza puoi farla tu. Con la tua scelta. Che può essere di viltà o di coraggio. Da ignavo o da eroe.
Fosse pure da piccolo eroe del quotidiano: proprio come il “Luigi Delle Bicocche” di cui canta un grandissimo Caparezza.
Fëdor Dostoevskij: «Siamo tutti esuli dal nostro passato».
Paul Auster: «Abbiamo tutti una vita interiore. Tutti sentiamo di far parte del mondo e nello stesso tempo di esserne esiliati. Bruciamo tutti nel fuoco delle nostre esistenze. Abbiamo bisogno delle parole per esprimere ciò che abbiamo dentro».
Benjamin Disraeli: «La prima cosa nella vita è saper cogliere l’occasione. La seconda è sapere quando bisogna lasciare perdere».
Bello e profondo l’articolo e le riflessioni, lottare sempre, fino a sentire e superare il dolore, non solo fisico ma dell’anima, questo è il segreto e, quando si perde, si ricomincia…..
Grazie, Vincenzo!
Grazie Paolo, dovrei proprio “imparare” a gustare ogni attimo, ogni istante della mia vita! Penso che non dovrei, come dicevano gli antichi!, “dormire sugli allori”! Oggi è una giornata splendida! Godiamoci questo sole, il cinguettio degli uccellini……e il via vai dei vicini che stanno traslocando!
Grazie, Donatella! Sì, godiamo del sole e del canto degli uccelli: mi sembra un’ottima idea!