Tra i banchi di “Scuola Competente”, con Vittorio De Marchi

Ciao, Vittorio. Vuoi spiegarci subito che cos’è “Scuola Competente”?

Un gruppo di ragazzi, scelti in modo variegato, appartenenti un po’ a tutte le classi, non per meriti speciali, ma perché qualcuno vede oltre a quello che la realtà dice di loro, non sempre sono i migliori, anzi, spesso sono le pietre scartate, che decidono di essere protagonisti della propria crescita umana e quella degli altri all’interno del loro percorso scolastico.

Come e perché?

Rispondo prima al perché.

Lavorando nella scuola e osservando il mio percorso di crescita personale, ho preso coscienza che nessuno di noi è un vaso da riempire, ma che basta soltanto risvegliare, far emergere tutte quelle potenzialità che già ci sono. Come il seme contiene ciò che sarà, una spiga, un albero, così l’uomo a qualsiasi età.

Per questo ho pensato che i ragazzi, una volta consapevoli di questo, fossero protagonisti diretti della loro crescita e di quella degli altri.

Come?

Semplicemente prendendosi cura e mettendosi al servizio di tutti i loro compagni di scuola che vedono in difficoltà.

Naturalmente questo gruppo di ragazzi, prima prendersi cura degli altri, fanno un percorso su se stessi. Infatti, i primi due anni, fanno un cammino di formazione e consapevolezza di ciò che sono e possono donare, seguiti da quattro persone, due psicologhe e due docenti. In seguito, vengono lasciati liberi di agire là dove c’è bisogno e se sono capaci di aiutare tutto finisce lì. Se il problema è più grave, interveniamo noi adulti, sempre insieme ai ragazzi che hanno rilevato il problema, informando la dirigente, coinvolgendo se necessario anche i genitori.

Quali problemi incontrano i ragazzi a scuola?

Fin dall’inizio i ragazzi sentono il disagio di un nuovo ambiente, nuove e sconosciute persone, nella scuola secondaria di secondo grado poi, quasi tutti escono dal mondo del loro paese, vengono in città. Il primo giorno li riconosci subito, spauriti, sospettosi, in allerta. Ecco che allora una accoglienza fatta, non dagli adulti, ma da altri ragazzi come loro attenua di molto il loro disagio.

Le classi prime vengono affidate a quattro ragazzi di Sc. Competente, i quali le seguono in qualità di tutor amici.

È in queste classi, prime e seconde, dove emergono episodi di bullismo, disagio nello stare a scuola o perché non si sono inseriti nel gruppo classe o hanno difficoltà con qualche insegnante.

Qualcuno ha problemi con la famiglia o problemi personali, per questo c’è uno sportello d’ascolto gestito da me insieme alle psicologhe.

La tua scuola, cosa dice? I tuoi colleghi?

Il progetto nasce dalle ceneri di un altro progetto, che coinvolgeva insegnanti, studenti, personale ATA, genitori e istituzioni territoriali esterne alla scuola. L’obiettivo era prevenire e arginare il problema della droga tra i giovanissimi, poi esauriti i finanziamenti tutto è finito. Era l’anno 2005/6.

È in quel momento che abbiamo avuto l’idea di continuare l’esperienza, I ragazzi ne sono stati entusiasti, gli insegnanti un po’ meno, tranne qualcuno, mentre il dirigente di allora ci ha lasciato piena libertà.

Abbiamo trovato una tana (aula), che abbiamo dipinto, con un graffito a tutto muro e lì che ci troviamo sia per condividere che per la formazione.

Poi nel tempo, tutti hanno compreso l’anima del progetto, anima sconosciuta anche a noi stessi che lo incarnavamo. Bisogna dire che è stato un cammino di consapevolezza, ciò che il progetto era all’inizio, adesso non lo è più. È cresciuto e maturato con noi, ogni anno che passa avviene come una ri-creazione che lo conduce da essere ciò che deve essere.

Cosa deve essere?

Un gruppo di ragazzi capaci, attraverso il prendersi cura, di guarire e liberare i coetanei, schiacciati da paure, insicurezze, confusi, delusi, sperduti senza speranza, che sopravvivono, che aspettano il sabato per uscire da una vita che non li entusiasma.

Di essere cibo che ridà vita.

Se non pane, almeno briciola, perché anche le briciole sono cibo.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...