«Mi piace la gente sentipensante, che non separa la ragione dal cuore. Che sente e pensa allo stesso tempo. Senza divorziare la testa dal corpo, né l’emozione dalla ragione»

(Eduardo Galeano)

Caro lettore, adorata lettrice,

oggi pausa dei “Caffè col mito” e spazio al solo “Caffè col direttore”: i primi torneranno, prima o poi, ma avverto il bisogno di intrattenermi un po’ con te su quanto mi va sfrugugliando nella mente. Senza confini predefiniti.

Episodio uno. Sto lavorando alle stampa di un libro che si intitolerà: Io speriamo che CI PÌO Tutto quello che dovreste sapere, e non immaginate, dei CPIA. Ho avuto modo di parlarne con un’amica e lei ha avuto l’accortezza di mettermi in guardia da certe mie espressioni che avrebbero potuto dar luogo a fraintendimenti. L’ho ascoltata, mi sono confrontato con più di un lettore e di una lettrice attenti, ho alla fine deciso di cambiare le parole: perché le parole sono importanti, sono (quasi) tutto quello che abbiamo per comunicare. Possono ferire o costruire, farsi ponte o ergere muri. Possono percuotere o farsi carezza. Vanno scelte con cura, le parole, e vanno pensate: prima col cuore e poi con la testa. Mi piace intendere così il “sentipensante” di Galeano, che poi è molto simile al “cuore pensante della baracca” di Etty Hillesum: e la sua era la baracca di un campo di concentramento…

Episodio due. In settimana, mio malgrado, sono divenuto celebre per un episodio pubblico poco gradevole. Non lo riassumerò. «Non ne vedo la necessità», direbbe Talleyrand. Chi sa, sa. Chi non sa, vivrà benissimo anche senza sapere. Dico solo che questo secondo episodio ha fatto sì che mi tornasse in mente l’Elogio della Mitezza di un grande “cuore pensante”, un Maestro di pensiero e di parole, quale è stato Norberto Bobbio.

Ve lo affido: «La mitezza consiste “nel lasciar essere l’altro quello che è”. È il contrario della protervia e della prepotenza. Il mite non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere, e alla fine di vincere. Ma la mitezza non è remissività: mentre il remissivo rinuncia alla lotta per debolezza, per paura, per rassegnazione, il mite invece rifiuta la distruttiva gara della vita per un profondo distacco dai beni che accendono la cupidigia dei più, per mancanza di quella vanagloria che spinge gli uomini nella guerra di tutti contro tutti. Il mite non serba rancore, non è vendicativo, non ha astio verso chicchessia. Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità. Ecco quel “potere su di sé” di cui abbiamo già sentito.

Il mite può essere configurato come l’anticipatore di un mondo migliore. Egli non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata. Amo le persone miti, perché sono quelle che rendono più abitabile questa “aiuola”, tanto da farmi pensare che la città ideale non sia quella fantastica e descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica universale».

Non sono un mite, evidentemente.

Ma mi piacerebbe essere almeno una persona gentile. O almeno ci provo.

Maya Angelou: «Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire – I’ve learned that people will forget what you said, people will forget what you did, but people will never forget how you made them feel».


FontePhotocredits: https://elements.envato.com/kind-people-are-my-heroes-43CPHY4
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...