
Più che per le ONG, urge un codice di condotta per l’Europa
Un codice di condotta imposto dal governo italiano alle navi Ong che svolgono attività di ricerca e salvataggio in mare?… un fallimento! Pochissime organizzazioni presenti all’incontro; tra queste soltanto tre firmano il protocollo di intesa con il ministero dell’Interno, mentre le altre dicono di voler continuare come hanno sempre fatto.
In proposito è sceso in campo l’ASGI, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, rilevando come questo “Codice di condotta” sia in contrasto con il diritto internazionale: è “un tentativo da parte dell’Italia di regolare la condotta di navi, ivi incluse le battenti bandiera di uno Stato terzo (quelle di varie Ong), oltre i limiti delle acque su cui l’Italia esercita competenze secondo il diritto internazionale”. È come se l’Italia decidesse di regolare il traffico automobilistico in Germania…: saremmo sommersi dalle risate!
Che le ONG siano il capro espiatorio di un problema dalla soluzione complicatissima? Un gioco a cui molte si sono rifiutate di partecipare .
In realtà, l’obiettivo concreto continua a rimanere quello di bloccare i flussi migratori, impedendo alle persone di mettersi in salvo, anche consegnandole alle bande che controllano il territorio e i porti libici, di cui è noto il comportamento criminale e incontrollato.
Il vecchio accordo col regime di Erdogan dimostra che i nostri governanti non si fanno molti scrupoli nel valutare le conseguenze delle loro scelte sui diritti delle persone. L’importante è poter raccontare all’opinione pubblica, in chiave elettorale, che si è fatto il possibile, magari riuscendoci, per impedire ai migranti di raggiungere le nostre frontiere.
Sorge così il sospetto che l’eccessiva fretta con cui si stia cercando di agire in Italia costituisca forse un tentativo di non veder sfumare almeno parte dei 136 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea e dal board del Fondo Ue per l’Africa per rafforzare le capacità delle autorità libiche nella gestione integrata di migrazione e frontiere. Milioni di euro che sono solo una briciola del volume d’affari che ruota intorno al problema “migranti”. Un business che oggi appare essere un mercato sempre più fiorente e proficuo.
Intanto, stando a dichiarazioni incontrollate e contraddittorie rilanciate dai media, si avverte una grande confusione in Libia dove operano, contrastandosi vicendevolmente, due governi e 140 tribù. Lo stesso Fayez al-Serraj, che ha espressamente richiesto l’aiuto italiano, ha ribadito più volte che sono loro ad occuparsi del controllo delle proprie coste.
Inoltre, a proposito delle motovedette donate dal governo italiano alla Libia per soccorrere e sorvegliare le acque territoriali, stanno circolando notizie che potrebbero scatenare l’ennesima diatriba: queste imbarcazioni sono state oggetto di modifiche da parte delle autorità libiche. Quattro motovedette, classe «Bigliani» consegnate a fine primavera, sono state “armate” dai Libici facendone vere e proprie navi da guerra: sembra che siano state montate sui loro ponti mitragliatrici contraeree tipo Doshka e altre di calibro pari a 23 millimetri che i libici possiedono nei loro arsenali. E sembra che tecnici italiani abbiano aiutato a corazzare in parte gli scafi. Ora i Libici stessi possono finalmente usare queste barche anche nella zona di Sabratha in Tripolitania. Ma non basta: il premier libico Fayez al Serraj ha confermato di aver chiesto all’Italia non solo ulteriore sostegno logistico e programmi di formazione della guardia costiera e di frontiera, ma anche altre attrezzature ed armi moderne per le forze armate per salvare la vita ai migranti e per affrontare i trafficanti di esseri umani.
In realtà, il codice di condotta imposto dal governo italiano alle ONG, vuol essere un tentativo maldestro di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su queste organizzazioni, nascondendo l’incapacità delle politiche europee e del governo italiano a trovare soluzioni praticabili per arginare la crisi umanitaria che investe il vecchio continente. Di ben altro coraggio e intelligenza politica ci sarebbe bisogno, sia nella relazione con gli altri governi dell’UE che nella gestione dei flussi straordinari, sperando che il problema immigrazione, così come vociferato in vari ambienti, non sia “merce di scambio” politico del governo italiano da barattare sul “tavolo europeo” per chissà quali benefici: ingenua idea naufragata a cui ora si cerca di arginare con l’imporre nuove regole ai soccorritori in mare, come se finora le organizzazioni umanitarie non abbiano agito correttamente.
Quello di cui c’è bisogno, alla luce degli oltre duemila morti di quest’anno, non è la ricerca di più regole, ma più capacità di soccorso, aprendo canali d’accesso legali e sicuri, sottraendo al ricatto dei trafficanti le persone in cerca di protezione e mettere in campo un programma europeo di ricerca e salvataggio. Misure che darebbero finalmente centralità alla vita e alla dignità degli esseri umani e credibilità al nostro Paese, isolando i predicatori d’odio e i razzisti di professione.
Se di codice bisogna parlare, urge un codice di condotta per l’Europa, non per le ONG!