
Intervista a un chitarrista d’eccezione, Francesco Narducci
Prendere in mano la propria vita o, se volete, il plettro di emozioni che ci limitano nel quotidiano, celando un’arte senza nome, una malattia ignota per chi la subisce e dura da sconfiggere. Manipolare la realtà, materia difficile per l’intervistatore e l’intervistato, rette parallele che si intrecciano, miracolosamente ed inaspettatamente, in un punto di disilluso auspicio e insospettata vicinanza. La voce di Francesco Narducci abbatte la barriera telefonica giungendomi all’orecchio calda e rassicurante. La sclerosi multipla è un brutto ricordo, forse non è mai andata via, ma Francesco non ci pensa, la trasforma in energia positiva, rendendola silente sotto le assordanti note di una melodia dolce e vitale, rock e rilassante.
Ciao Francesco, coltivi ancora la tua passione per la musica?
Certo! Se c’è una cosa che la malattia mi ha insegnato è godermi ogni singola possibilità che Dio mi offre. Perdendo l’uso delle mani, avevo perso gli strumenti del mio piacere, l’aspetto più penalizzante per un chitarrista. Ciò che più mi infastidiva era vanificare vent’anni di studi, vent’anni di applicazione e abnegazione, il mio essere tutt’uno con la chitarra veniva, improvvisamente, messo in discussione da qualcosa apparentemente senza soluzione o cura.
Hai deciso di curarti attraverso un metodo che potremmo definire sui generis…
Ho semplicemente deciso di operarmi. Grazie ad un radiologo interventista dell’Ospedale Bonomo di Andria, mi sono sottoposto ad un intervento di angioplastica per disostruire quelle vene che mi avrebbero limitato la vista e impedito di camminare, costringendomi su una sedia a rotelle.
Guardandoti oggi, invece, non si direbbe che tu abbia avuto un passato così burrascoso.
Ho subito l’intervento chirurgico il 16 dicembre 2010. Oggi, dopo sei anni, ho scelto personalmente di non usufruire di alcun tipo di farmaco.
Come mai?
Perché credo che ciascuno sia il dottore di se stesso, perché mi sento bene, rinato, rinvigorito sempre di più, o, forse, perché, con una velata punta d’orgoglio, voglio dimostrare agli scettici di non essere solo vittima di un cosiddetto “effetto placebo”. I miei miglioramenti sono effettivi e lapalissiani, è solo il mio passato ad etichettarmi come disabile e, probabilmente, un po’ mi ci sento ancora, anzi, lo sarò per sempre. Sono, però, arrivato ad un punto della mia esistenza in cui ho smesso di preoccuparmi del mio futuro, perché il mio domani è adesso, il mio presente mi sta restituendo la speranza che, scioccamente, avevo rischiato di smarrire ieri. Ma in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ho apprezzato la forza sotto forma d impegno solidale verso chi vive le mie stesse inquietudini.
Sbagliamo, quindi, a definirti “paziente zero”?
Assolutamente. Ho fatto da cavia perché volevo assumermi la responsabilità di star bene. Può sembrare un paradosso, lo so, ma credo di essere la voce di altre 60mila persone affette da sclerosi multipla. La mia non è una storia trascritta da una medicina alternativa, è solo consapevolezza di sentirsi vivi. Tempo fa, un ragazzo si è presentato dicendomi “Piacere, sono il paziente 16” – sorride. Numeri a parte, guardare la gente negli occhi mi soddisfa e mi fa capire quanto un “caso emblematico”, come il mio, possa ergersi a paradigma di una non accidiosa accettazione della propria patologia. Niente di ieratico, sia chiaro, solo la ferrea volontà di esserci.
Progetti futuri?
Cerco di ottimizzare il mio “successo” , sfruttando le oltre 16mila visualizzazioni su “Plettro libero”, il mio canale youtube, o su facebook, per promuovere la nostra Associazione, ccsvi-sm.org, di cui sono socio. Lo scopo è risaltarne l’eco anche e soprattutto a livello nazionale. Si tratta, sostanzialmente, di un gruppo di amici che vuole crescere e diffondere nuovi punti di vista e prospettive in un mondo poco disposto a rinsavire. Ecco, so quanto gli argomenti scientifici generino suscettibilità ultimamente, ma la mia è la storia di un uomo comune che si ribella alle convenzioni dell’essere malato ad ogni costo. Si può guarire anche grazie al fuoco sacro che hai dentro, benzina di un motore su di giri, pronto a percorrere ancora tanta strada e, nel mio caso, a comporre molte altre sinfonie di ritrovata libertà!