
… Finire per sempre, oppure durare…
(Ustmamó da COSA CONTA)
Un grande paese manifatturiero è particolarmente esposto a rovesci e contingenze temporanee causate dal trasferimento del capitale da un impiego all’altro. La domanda di prodotti agricoli è uniforme e non è soggetta alla moda, al pregiudizio o al capriccio. Per vivere sono necessari gli alimenti e la domanda di alimenti continua in tutte le epoche e in tutti i paesi. Non così per i manufatti: la domanda di una merce manufatta particolare non è soggetta soltanto ai bisogni, ma anche ai gusti e capricci dei compratori. Inoltre una nuova imposta può annullare il vantaggio comparato che un paese aveva prima nella manifattura di una merce particolare; oppure gli effetti di una guerra possono far talmente aumentare il nolo e l’assicurazione del trasporto da far sì che non possa più competere con la produzione manufatturiera del paese in cui prima veniva esportato.
(David Ricardo da PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA E DELL’IMPOSTA)
L’Istituto centrale di statistica ha diffuso qualche giorno fa i dati relativi allo stato della nostra economia, smentendo la narrazione ottimistica dell’esecutivo.
La Meloni, in un video del primo maggio, in cui sintetizzava i “successi” del suo governo, autocelebrandosi e esaltando le magnifiche sorti e progressive del Paese (di fantasia), aveva rappresentato una situazione dell’economia italiana un po’(sic!) ottimistica rispetto a quelli che sono i dati reali resi noti dall’ISTAT.
Dati alla mano, la produttività per ora lavorata è calata dell’1,4%.
Ancora, per quanto riguarda la capacità d’acquisto delle famiglie, ci ricorda l’ISTAT, tra il 2019 e il 2024, l’inflazione è stata del 21,6% e le retribuzioni sono cresciute solo del 10,1%. La perdita di potere d’acquisto rispetto al pre-Covid è comunque stata calcolata come pari al 4,4%. La perdita si è fermata al 2,6% in Francia e all’1,3% in Germania, mentre in Spagna c’è stato un guadagno del 3,9%.
È aumentata la percentuale degli italiani a rischio povertà (+23,1%).
Gli italiani che hanno smesso di curarsi sono 1 su 10, anche perché le 21 sanità del nostro paese funzionano come tutti sappiamo, cioè con liste d’attesa lunghissime, medici in fuga verso il settore privato e, più in generale, carenza del personale medico ed infermieristico per la sciagurata politica restrittiva di accesso alle facoltà universitarie di riferimento, per fortuna ultimamente rivista.
Per non dire dei giovani laureati italiani che, più di uno su 5, scappano all’estero per trovare un lavoro dignitoso e ben pagato, anche mercè un sistema universitario e della ricerca monopolizzato da baronie e nepotismi che non lascia nessuno spazio a quei ragazzi preparati, ma che non hanno santi in paradiso.
E allora vi sembra questo il paese di Bengodi esaltato dal presidente del consiglio e dai suoi sodali?
Eppoi, cosa ci dicono, esattamente, questi dati nella loro crudezza?
Ma, soprattutto, che fare per uscire dall’impasse che ormai si protrae da troppo tempo senza che nulla si faccia per venirne fuori?
Anzitutto le cifre dell’ISTAT rappresentano un paese stanco e senza prospettive, dominato dal disincanto e dallo scoraggiamento.
Sono stanchi e scoraggiati i giovani che vanno via per un futuro migliore e hanno rinunciato alla speranza i nostri concittadini che non si curano più, affidandosi alla buona sorte, e magari alla preghiera, perché non hanno i soldi per esami e cure costosi che non possono permettersi.
Come ridare fiducia agli uni e agli altri?
Anzitutto un dato.
La guerra tra Russia ed Ucraina e le conseguenti demenziali (auto)sanzioni comminate al “regno di Putin” sono state un uragano per il nostro paese, le cui macerie continuano ad accumularsi e le cui ferite ancora ci lecchiamo.
Le imprese e le famiglie hanno visto aumentare esponenzialmente il valore di gas e corrente elettrica con terrificanti ricadute sui costi di gestione, con crollo dei profitti, dell’occupazione e della domanda interna.
Va aggiunto, per soprammercato, il dato agghiacciante per il quale l’Italia ha speso 3,4 miliardi di euro per finanziare l’Ucraina, la sua guerra e la strage di un’intera generazione di giovani.
Danari che potevano essere utilmente impiegati per la sanità, per la quale, l’anno scorso era stato calcolato che 40 miliardi di euro l’avrebbero risollevata e resa di una qualità ai livelli precedenti ai tagli che originano a far data dal 1992, nonché (ri)portata ai livelli dei Paesi europei.
Ma per la riqualificazione del nostro sistema sanitario non si possono sforare i vincoli di bilancio fissati dall’UE, ci mancherebbe … Ma per riarmarsi sì … Questo perché la salute si protegge con armi, bombe, missili, razzi. Non certo con ospedali, farmaci, apparecchiature mediche …
Se non fosse che pericoli che qualcuno di invada non ce ne sono (ma, tranquilli, stiamo preparando il terreno…). Però che la gente si ammali accade ogni giorno.
Ma questo, si sa, è solo un inciso insignificante.
Quindi, come è evidente, si tratta di spendere bene le scarse risorse disponibili per investire anzitutto nella salute. Smettendola di intorcinarsi in giochetti numerici che portano solo ad aggravare la povertà dei cittadini senza risolvere i sofismi contabili cui i paesi UE si sono sottomessi come in un grottesco gioco erotico sado-maso.
Keynes diceva che bisogna aumentare la spesa pubblica che poi il bilancio si aggiusta da sé, perché l’aumento della spesa genera occupazione, salari, crescita della capacità d’acquisto, aumento della domanda interna, incremento delle entrate fiscali.
Quanto a queste ultime, il nostro paese dovrebbe rivedere le modalità di accertamento delle imposte perché tutti paghino il dovuto e non solo i lavoratori dipendenti.
Quanto lavoro ha da fare ancora questo governo. E quelli a venire, sempre che vogliano difendere gli interessi di questo Paese. Razza di patrioti a parole!