
L’aereo, decollato da San Paolo, in Brasile, aveva fatto scalo in Bolivia, prima di schiantarsi, nella notte di lunedì, sulla catena montuosa colombiana. Certe creature sono così perfette che neppure Dio vuole che invecchino.
L’ala, un ruolo fondamentale nel calcio, è l’esterno che salta l’uomo, crossa e serve assist in zona gol. Ma le ali, stavolta, hanno servito un assist al destino, assurdo, impenitente, crudele. La favola della Chapecoense si è trasformata nell’incubo della Chapecoense. La squadra brasiliana avrebbe dovuto disputare, mercoledì 30 novembre, a Medellin, la finale di Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacional, una storia incredibile, un successo sportivo senza eguali per un gruppo di ragazzi di provincia. Quella Coppa l’hanno portata a casa, ora è lì nella sede del club, o, se preferite, tra le macerie di un British Aerospace 146.
L’aereo, decollato da San Paolo, in Brasile, aveva fatto scalo in Bolivia, prima di schiantarsi, nella notte di lunedì, sulla catena montuosa colombiana. Secondo l’Ente colombiano, Aerocivil, a bordo c’erano 77 persone, di cui 22 giocatori e 28 funzionari della Società. Il terzino Alan Ruschel e il secondo portiere Jackson Ragnar Follman sono sopravvissuti all’impatto, mentre Helio Zampier, giunto in gravi condizioni all’ospedale di Medellin, non ce l’ha fatta.
La tragedia della Chapecoense segue, tragicamente, le orme di altre squadre sconfitte da incidenti aerei. Grande Torino, Manchester United e Bayern Monaco sono solo gli esempi più importanti di un complotto divino. No, nessuna dietrologia, solo la consapevolezza di essere invincibili. Come si disse dopo la strage di Superga, certe creature sono così perfette che neppure Dio vuole che invecchino. Le richiama a sè per delineare, forse, la caducità di atleti che, da vivi, possono scrivere la storia ma, da lassù, la imprimono nella memoria di grandi e piccini. Chissà, anche questa potrebbe essere una metafora divina, salire in cielo per poi sprofondare tra le pagine di una limitata cronaca sportiva a tinte nere. Già, il nero. Come quella scatola che racchiude segreti indicibili, misteri che lasciano a casa l’ex difensore del Verona, Claudio Winck, mentre offrono un biglietto all’altro “italiano”, Felipe Machado, segnato da un passato granata, epitaffica maledizione di una maglia tatuata sul cuore.
Un biglietto di prima classe, eleganza di cui un giocatore di talento non può far a meno. Da Pelè a Maradona, da Neymar a Messi, il cordoglio dei Campioni è lì, in calce, sotto un contratto che li legherà per sempre alla Chapecoense. Ronaldinho e Riquelme, pur di onorare il ricordo delle vittime, sono pronti a firmare in bianco. La Federazione Brasiliana, dal canto suo, ha promesso che la nuova Chapecoense sarà, per almeno tre anni, immune da qualsiasi retrocessione.
D’altronde, quando ottieni la promozione tra gli angeli, non puoi più scendere nella categoria dei vinti e dimenticati.