«Scrivere poesie non è difficile; è difficile viverle»

(Charles Bukowski)

Questo caffè è la storia di un campione e di un abbraccio. Il campione è Michele Debenedictis. L’abbraccio è quello che ho avuto la fortuna di scambiare con lui 82 secondi dopo il mio arrivo alla maratona di Misano, lo scorso 29 gennaio.

Abbiamo corso entrambi la gara di 58km, in onore di Marco Simoncelli, nel circuito a lui dedicato e sotto gli occhi grati e feriti della sua mamma e del suo papà. Ma questa è un’altra storia, tristemente già nota.

Dunque, sul traguardo di Misano, Michele è giunto 82 secondi dopo di me. 82 secondi su 58 km sono niente: meno di un secondo e mezzo a km, poco più di 200 metri in tutto. Ma, anche se io sono arrivato avanti, il campione è Michele, più forte di me almeno 82 volte.

Michele è un campione nello sport. Non conosco esattamente il lungo elenco dei suoi titoli di campione nazionale sulle lunghe distanze: dalla 6, alla 24, alla 48 ore e via dicendo, fino a correre in 28 ore i 202km della Nove Colli o, in 35 ore, i 246km della Spartathlon, una gara massacrante, da Sparta fino ad Atene, che corrono solo quanti entrano definitivamente nell’Olimpo della corsa.

Ma io so bene quanto Michele sia campione nella vita: ed è questa la vera ragione per cui vi racconto questa storia. Una storia che mi vede, mio malgrado, testimone privilegiato.

In breve. Eravamo da poco partiti per correre la Maratona sulla sabbia, sul litorale di San Benedetto del Tronto, lo scorso 13 febbraio 2022, un anno fa. Un anno meno un giorno, per l’esattezza.

Michele, insieme al suo inseparabile amico Mimmo Martino, mi sorpassò subito. Fin qui nessuna novità: ero abituato a vederlo sfrecciare nei vari circuiti nei quali ci eravamo già incrociati. Quella volta, però, fu diverso. Mentre mi superava Michele mi lanciò uno sfottò, giocando col mio cognome. Lui: «Un sacco di farina!». Ed io di rimando: «Sì, ma di grano duro!».

Anche questa non è una notizia: Michele ha un carattere gioioso e tutti conoscono il suo sorriso e la sua voglia di scherzare. La notizia, terrificante, tale da lasciarci senza parole, arrivò pochi minuti dopo: raggiunsi Mimmo, era da solo e non seppi spiegarmelo. Me lo spiegò lui: «Michele ha avuto le vertigini, è caduto per terra, abbiamo chiamato il 118…».

Di lì, l’odissea di Michele che correva la sua gara più lunga, per sconfiggere il nemico che gli si era insidiato nel cervello, mentre tutti noi, ammutoliti, facevamo il tifo per lui…

Michele non si è arreso. Ha reagito bene all’operazione d’urgenza. Ha ripreso a correre non appena ha potuto e lo scorso 29 gennaio, dopo un simile calvario, è arrivato al traguardo: in una 58 km, segnando un tempo di assoluto riguardo, 69mo in classifica assoluta, donne e uomini inclusi, sesto di categoria, appena 82 secondi dopo uno che nel frattempo non ha avuto manco un raffreddore e ha potuto continuare ad allenarsi con regolarità.

Un campione, Michele. Un campione vero: nella vita come nello sport.

E qui la mia fortuna: mentre gioivo per aver appena tagliato il traguardo della mia centesima gara tra maratone e ultra, sento l’urlo, il pianto, la gioia, la travolgente commozione di Michele. Faccio in tempo a girarmi e lui mi si avvinghia. Per fortuna, non ero arrivato distrutto al traguardo perché mi rendo subito conto che l’emozione gli ha tagliato le gambe: se non avessi la forza di reggerlo, Michele cadrebbe a terra, ma questa volta solo per baciarla e gridare grazie, grazie, grazie!

Un privilegio esclusivo, il mio: poter testimoniare l’inizio e la fine di un calvario.

Essermi trovato un attimo prima del dramma e un attimo dopo che, simbolicamente, veniva chiuso per sempre.

Aver potuto abbracciare un amico che si prendeva la sua rivincita – e che rivincita! – prim’ancora di affidarlo all’abbraccio di sua moglie. Essere stato lì per tutti quelli che, lungo quest’anno, avrebbero voluto dargli esattamente lo stesso abbraccio: con ogni forza e con tutto il cuore.

Avergli potuto gridare a mia volta: «Sei un campione! Sei un campione! Sei un campione!».

E poterlo riscrivere oggi: sei un campione, Michele, grazie per non aver mai mollato. Grazie per ciò che rappresenti: per la tua famiglia, per i tuoi amici, per tutti noi. Per chi ama lo sport, quello fatto di soli sacrifici e tantissima soddisfazione morale.

Alla prossima gara, Michele, amico mio.

Già so che questa volta mi doppierai subito: e nulla mi potrà rendere più felice che tornare ad essere sconfitto da te. Di almeno 82 secondi, anche se temo che saranno molti di più…

Anche se il “grano duro” non molla mai: sei avvisato, amico mio.

 

Post scriptum

Ho fatto leggere queste righe a Michele, prima di pubblicarle, e lui mi ha risposto: «Un particolare importantissimo che sa di sovrannaturale: alla fine sono arrivato 58mo assoluto nella classifica generale uomini, il numero di SIMONCELLI, PERCHÉ PROPRIO IO NON ME LO SPIEGO!».

Magari ce lo spieghiamo noi.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

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