La memoria di Einaudi, De Gasperi, Pertini, Berlinguer, Moro, non può sempre illuminare il Paese

La scrittrice francese Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la Letteratura. Ho letto il suo pluripremiato libro “Gli anni”. Ora, se esiste una giustizia letteraria, narrativa, culturale, umana, anche Antoine de Saint-Exupéry per “Il piccolo principe” dovrebbe vincerlo postumo; e con lui Cormac McCarthy per “La strada”; John Lennon per “Imagine”; Franco Battiato e Manlio Sgalambro per “La cura”; a Oriana Fallaci per “Un uomo”; e l’elenco di chi lo meriterebbe è lungo. Ma parliamo di giustizia e quindi ne segue un silenzio.

In Italia, terra dei giusti e dei colti, il Premio Strega 2022 è andato al libro di Mario Desiderati “Spatriati”: e mai come quest’anno ne si riconosce la viziata /iniqua e matrice/natura politico-sociale. Un libricino dalla maturità narrativa incerta, una storia leggera e fragile. Ma parliamo di giustizia e ne segue un altro silenzio.

Uno scopo comune, il bene comune in ogni cosa che appartiene a questo mondo. Dove trovarlo? Nella nostra epoca di vuoto interiore ma colma di opportunità: la Rete, i Social, un potere immenso.  Anche il più povero di soldi e di spirito può entrare in un museo, viaggiare, persino amare senza la fatica dei sentimenti, con il proprio cellulare e una connessione dati: è anche questa una forma risicata di “comunione”. Una rivoluzione non è pulirsi il proprio fondoschiena e trovare il bidone della spazzatura adatto. Non è salvare una zolla di terra sotto cui poi si piangono i morti per il lavoro improvvisato e poco controllato.

Una rivoluzione: non quella politica e armata dei più famosi “burattini rossi”, chiamati anche indecentemente Brigate, esasperati seguaci della “libertà” tanto da simpatizzare con organizzazioni militarmente più preparate; di quelli dichiarati “fascisti” o di “destra”, superstiziosi dell’intelligenza a tal punto da agire su commissione e praticare in gruppo spintoni e botte; degli adolescenti e adulti riuniti nel nome di un pesce, burattini pure loro; dei burattinai dei sindacati, collusi il più delle volte con il “padrone” perché così si sistema meglio ogni cosa anche a costo dei sacrifici “altrui”.

Non occorre il sangue o perlomeno il sangue non può sostituire l’inchiostro e la saliva che prepara ogni parola. E non è necessario uccidere socialmente il “sacrificio e il lavoro” con il reddito di cittadinanza, perché “morti” già lo sono coloro che dialogano impropriamente con la forza del potere politico e sociale e sindacale. Avere cuore e carattere ha un prezzo che chi ha buttato giù la porta della meritocrazia, non possiede. Siamo un popolo occidentale superstizioso che non è spaventato dal pensiero che non esistano regole e persino un Dio ma solo che ci siano precetti, sanzioni, e un “Altissimo” giudicante che non si può corrompere. Attendiamo ancora che qualcuno raddrizzi gli storpi, ridia la parola ai muti e la vista ai ciechi, risusciti i morti: tutte cose che come affermava Diderot sono giochi di prestigio che incantano e allontano la ragione ma non tolgono la fame di giustizia umana e sociale.

Il cadavere del “bene comune” era a Auschwitz, a Marzabotto, nelle Fosse Ardeatine; nelle Foibe; nella giustizia sommaria di partigiani non sempre dalla parte del giusto; gli sono passati sopra con un auto dopo averlo massacrato di botte in un lido romano, era omosessuale e con la sua intelligenza dava fastidio; era nel bagagliaio di un’auto scempiato dai proiettili sparati da minchioni improvvisati della pseudo rivoluzione che avrebbe potuto utopicamente cambiare l’Italia; è caduto in mare dentro un aereo, abbattuto o disgrazia?, senza alcuna giustizia attuale; ha frantumato ossa e carne di innocenti sotto un terremoto in una scuola; è affogato bambino verso il miraggio della civiltà italiana, cadavere sulla spiaggia; è rimasto schiacciato sotto un ponte crollato.

Dalla “disgrazia umana” che combacia ad ogni elezione con gli eletti e gli elettori, si può solo prendere le distanze. E si può esigere dall’uomo più saggio e intelligente che cerchi la verità ma non che la trovi. La memoria di un Craxi è più proficua e dignitosa se paragonata a quella odierna di certi individui che siedono da decenni a destra, sinistra e al centro del Parlamento o del Senato. La memoria di Einaudi, De Gasperi, Pertini, Berlinguer, Moro, non può sempre illuminare il Paese.