L’ansia dell’inevitabile, un viaggio lungo due secoli fra le diverse correnti di un’Europa nuova nelle idee e nelle azioni. Si presenta così “La foresta invisibile” (Castelvecchi Editore), il nuovo romanzo di Maria Elisabetta Giudici, architetto ed ispirata scrittrice:

Ciao, Maria Elisabetta. A quale tipo di attitudine deve far fede il lettore che si approccia, per la prima volta, a “La foresta invisibile”?

Il lettore deve sapere che “la foresta invisibile” è un thriller storico di cui non deve mai perdere il ritmo che guida l’intera storia. Per aiutare il lettore a non perdere il filo del racconto sarebbe stato utile elencare all’inizio i personaggi e il loro ruolo. Lo farò nel prossimo romanzo.

Oltre a quello della collana, quale altro filo unisce i destini del pescatore e di Giovanni a quelli di Parigi e di tutta l’Europa del Novecento?

L’800 e il ‘900 sono un periodo storico avventuroso, affascinante e drammatico, sono due secoli pieni di fermenti e innovazioni. L’ì’800 trae la sua genesi dalla Rivoluzione Francese, vede nascere il principio di nazionalità grazie al quale ci saranno diverse unificazioni territoriali. Vede il sorgere del liberalismo, del romanticismo, dell’idealismo tedesco, del Risorgimento. Il ‘900 è il secolo della Rivoluzione Russa, delle due guerre mondiali, della bomba atomica, del crollo del muro di Berlino dell’unificazione europea e della diffusione delle macchine pensanti, i computer. Salvo, il pescatore, chiude il suo secolo, l’800, con le vicende tragicamente romantiche della sua storia per traghettare il racconto verso un uomo moderno, Giovanni, capace di percepire un mondo, il ‘900, dove il tempo e lo spazio stavano per essere divorati da mutamenti più veloci dell’umana comprensione.

Che valore assume, per te, l’immagine del corallo?

Il corallo ha accompagnato la mia vita. Ho sempre avuto con me qualcosa di corallo. E’ formato da organismi viventi, da piccoli polipi radunati in colonie di molti individui simili. Mi emoziona sentirmi in compagnia di una piccola porzione di natura.

In qualità di scrittrice, quanto ti senti cambiata, se c’è stato un cambiamento, rispetto a “Il re di carta” (Emersioni Editore), tuo romanzo d’esordio?

Mi sento cambiata perché con lo scrivere sono entrata in una nuova dimensione. Una delle tante al cui noi architetti siamo abituati ad affrontare senza paura. Noi viviamo in un caleidoscopio di competenze e cimentarsi in ambiti diversi dalla nostra professione fa parte delle nostre abitudini. Il re di carta è stata una delle tante scommesse andate bene, affrontata con il solo piacere del provare. La foresta invisibile è stato un impegno consapevole e sofferto, come un progetto architettonico complesso. Del resto progettare e scrivere sono la stessa cosa: sia l’architetto che lo scrittore progettano i mondi che hanno inventato. Il primo li disegna, il secondo li scrive.

Progetti futuri?

Un terzo romanzo è già in cantiere. Ne sto controllando la struttura portante e alcuni dettagli, come fosse un grande edificio da tirar su a poco a poco, con la coerenza dei suoi elementi e aderente all’ idea che dovrà rappresentare.