Negli ultimi anno si è avvertita l’esigenza di studiare eventuali possibilità tecnico-giuridiche e scientifico-culturali per riedificare il sistema di qualificazione dei beni, perseguendo una riflessione su una eventuale riforma che istituzionalizzi e disciplini adeguatamente la composita categoria dei beni comuni, oltre a quelle dei beni pubblici e privati.
Una tale esigenza non viene qui affrontata come fine a se stessa bensì quale presupposto per il riconoscimento della validità ed efficacia dell’atto di rinunzia abdicativa della proprietà di beni materiali di tipo immobiliare, oltreché della proprietà di eventuali beni immateriali peculiari, di rilevanza socioeconomica. Tra le varie, si può prospettare anche l’ipotesi che l’art. 827 cod. civ., sulla acquisizione degli immobili “vacanti” in capo allo Stato, possa essere riformulato aggiungendo accanto allo Stato gli altri enti pubblici territoriali che costituiscono la Repubblica secondo la Costituzione. In breve, si sostiene che la cessazione della contribuzione tributaria del proprietario rinunziante sarebbe sostanzialmente non lesiva delle ragioni di ordine pubblico tributario e di Welfare State, soltanto se le perdite che a livello generale si realizzano con la neutralizzazione del rapporto tra l’ex proprietario e il fisco, a rigore, venissero recuperate e compensate dal sistema stesso di acquisizione pubblico dei beni “vacanti” quali beni comuni regolati, a destinazione vincolata in senso sociale. L’intento è quello di curare in modo concreto lo spazio di antitesi logica in cui si misurano e si contemperano, da un lato, i principi di autonomia privata e libertà ablativo-dismissiva dai pesi della dimensione dominicale soprattutto in tempi di congiunture economiche, e dall’altro lato le esigenze sociali di uguaglianza sostanziale ai sensi dell’art. 3, comma 2, Cost., realizzabili non soltanto a mezzo della contribuzione tributaria progressiva, bensì pure attraverso congegni giuridici che definiscono e funzionalizzano i beni come beni comuni, il cui entroterra verrebbe ad essere così tecnicizzato ed esteso all’insegna del principio di legalità.
Lo spunto che muove il presente articolo si svolge su due binari, funzionalmente interconnessi ai fini delle prospettive di risultato che si intende raggiungere: da un lato l’analisi deve vertere sulla teoria dei beni, pubblici e privati, ed anche di quelli cosiddetti “comuni” nonché di quelli “collettivi”, con riferimento alle potenzialità dell’ordinamento civilistico italiano, di quelle del sistema eurounionale e delle fonti di diritto internazionale, insieme ad uno sguardo comparatistico ai sistemi giuridici di vari Paesi europei e non europei; dall’altro lato, lo studio deve avere ad oggetto la vexata quaestio della ammissibilità o non ammissibilità dell’atto di rinunzia abdicativa avente ad oggetto il diritto di proprietà di un bene immobile.
I due anzidetti binari d’indagine, che nell’economia del presente articolo risultano necessariamente interconnessi, sono sempre stati esaminati in modo separato. Tale separatezza della tematica della rinunziabilità della proprietà immobiliare dalla teoria dei beni in generale, a rigore, ha sinora condotto a risultati che si scontrano con un meccanismo incerto di contemperamento dei principi costituzionali, in un entroterra giuridico privo di idonee formule tecniche legislativamente definite. Il presente modestissimo scritto ha l’intento di contribuire a cucire i distinti principi della uguaglianza sostanziale e della libertà autonomistica dei privati attraverso uno studio che possa condurre ad una riforma sistematica, coerente e compiutamente orientata in senso costituzionale, o meglio, neocostituzionale, ai fini della risoluzione delle problematiche questioni concernenti la rinunzia della proprietà immobiliare e non solo, nonché attinenti alle conseguenze negative che una tale ammissibilità condurrebbe sul piano del Welfare State tributaristicamente fondato. Esaminare il meccanismo legale di qualificazione dei beni acquisiti exart. 827 cod. civ., invero, costituisce un passaggio fondamentale per comprendere gli effetti sostanziali, oltreché formali, dell’atto di rinunzia della proprietà medesima. Se si dovesse ritenere ammissibile nell’ordinamento italiano tale rinunzia meramente abdicativa, a rigore, il bene diverrebbe privo di un soggetto titolare; e qualora si ritenesse che a quel punto il bene immobile diventi una res nullius, si verificherebbe l’effetto dell’acquisto in capo allo Stato ai sensi della sopra menzionata disposizione codicistica.
In virtù dell’evolversi dell’ordinamento con la modifica del Titolo V, Parte II della Costituzione italiana ai sensi della Legge costituzionale n. 3/2001, e con il conseguente intensificarsi del ruolo degli altri enti pubblici territoriali che insieme allo Stato costituiscono la Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost., occorre riflettere in chiave critica e problematica sulle probabilità di riforma dell’art. 827 del codice civile. Sarebbe auspicabile un meccanismo di stretta legalità che destinasse allo Stato, alle Regioni, alle Città metropolitane, alle Province e ai Comuni i beni la cui titolarità proprietaria risulti dismessa dai privati, a seconda del tipo o comunque della categoria di bene? Un siffatto meccanismo realizzerebbe meglio i principi di proporzionalità, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma 1, Cost., a loro volta funzionali al buon andamento della pubblica Amministrazione nella personologica accezione odierna di P.A. di servizio e di risultato? D’altronde l’efficienza e l’ottimizzazione delle funzioni amministrative, le quali ultime devono essere rette dai principi appena menzionati, dipendono dal grado di razionalità strutturale dell’organizzazione della P.A., e l’organizzazione de qua non può non dipendere anche dall’assetto proprietario degli enti pubblici territoriali di riferimento. Nel presente lavoro, però, si auspica addirittura una riqualificazione di tali beni come comuni, pubblici di tipo sociale, appartenenti agli enti pubblici territoriali e al contempo ad usufruibilità collettivo.
Un meccanismo di acquisizione pubblica delle res nullius a binari differenziati realizzerebbe meglio i compiti che le istituzioni sono chiamate a svolgere per perpetuare, effettivamente ed in concreto, i principi generali di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, di cui all’art. 2 Cost., e di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost., in ragione del criterio di vicinanza del livello governativo di riferimento? Il comma secondo dell’art. 3 in questione dispone infatti che la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese; e, come già ricordato sopra, la Repubblica ai sensi del primo comma dell’art. 114 Cost. è costituita anche dalle Regioni, dalle Città metropolitane, dalle Provincie e dai Comuni, e non soltanto dallo Stato, l’unico ente pubblico territoriale invece presente nel testo dell’art. 827 cod. civ. sul meccanismo acquisitivo di extrema ratio dei beni cosiddetti “vacanti”. Una simile estensione potrebbe destabilizzare la tenuta del principio di unità nazionale di cui all’art. 5, prima parte, Cost.? Tale principio generale, allo stato attuale della sensibilità civica e legislativa, risulterebbe prevalente rispetto all’obbligo per il legislatore ordinario di adeguare exart. 5, ultima parte, Cost. i principi e i metodi della legislazione alle esigenze della autonomia e del decentramento, anche patrimoniale nel caso dell’acquisizione dei beni “vacanti”?