
Il disprezzo verso le università e la cultura ha radici lontane e ragioni politiche e culturali profonde
Quanto vale la democrazia? Quale prezzo ha la libertà di pensiero?
Domande, forse, retoriche in un paese che ha raggiunto e goduto, grazie al sacrificio di tanti cittadini, i benefici della libertà dopo il ventennio fascista e scolpiti, quei benefici, nella Costituzione, la quale tutela diverse libertà fondamentali per i cittadini, tra cui la libertà personale, la libertà di movimento, la libertà di pensiero, di parola, di associazione, di religione, di stampa e di riunione.
Diamo forse per scontato che certe libertà siano per sempre; invece, per mantenerle tali devono essere costantemente difese; hanno bisogno di partigiani della cultura. C’è sostanzialmente bisogno di un’etica sociale laica per costruire una società giusta, solidale e inclusiva e mantenere l’isonomia in una società sempre più complessa. Non si tratta di un codice imposto da fedi religiose né da ideologie politiche, ma di un insieme di valori condivisi, basati sul rispetto dei principi costituzionali, sulla dignità delle persone e sulla responsabilità collettiva.
Invece?
Cultura e Convivenze, in una parola sola DEMOCRAZIA, sono state sempre invise ai sostenitori del sovranismo e dell’estrema destra. Criticano le regole democratiche, ma utilizzano gli spazi di democrazia per dileggiare a sproposito il principio di convivenza democratica che li tiene socialmente e politicamente in vita.
Capita così che anche in quella che si credeva fosse la fortezza della democrazia: gli Stati Uniti d’America, si cominciano ad intravedere i semi di un annientamento ai principi di libertà e di pensiero. L’America è da sempre stata la patria che accoglie, che investe in scienza e tecnologie, richiamando scienziati, studiosi, ricercatori da tutto il mondo nelle proprie università; lavoratori del sapere che hanno contribuito a rendere grandi e prestigiose non solo le università americane, ma l’intero Paese.
I principi fondamentali della Costituzione americana (codificati nel I emendamento), come la libertà di espressione e di pensiero, garantiscono anche la libertà di ricerca scientifica e di divulgazione dei risultati. Almeno era così fino al 20 gennaio 2025; prima dell’insediamento dell’amministrazione Trump. Eh sì, perché Trump dal 20 gennaio scorso in poi ha cominciato a picconare i principi costituzionali e a firmare una serie di ordini esecutivi rivolti alle principali agenzie scientifiche del Paese per sospendere le loro normali attività ritenute non conformi al nuovo corso politico; un assalto senza precedenti alla scienza, alle istituzioni di ricerca, cancellando o congelando decine di miliardi di dollari in finanziamenti per la ricerca.
Sulla stessa scia il vicepresidente Vance additava “i professori come il nemico” e le università come istituzioni che “non trasmettono conoscenza e verità, ma inganni e menzogne” e che occorreva pertanto “attaccarle onestamente e aggressivamente”.
E così è stato fatto.
È notizia di qualche giorno fa che la foga picconatrice di Trump (“Harvard insegna l’odio e l’imbecillità” e “non dovrebbe più ricevere fondi federali”, ha scritto il presidente Donald Trump sul suo social network Truth Social) e della sua amministrazione verso l’accademia ha cominciato ad annientare il dissenso e a colpire prestigiose università americane, dove, tra l’altro, si sono formati diversi Presidenti della Repubblica e dirigenti del Paese e sfornato diversi premi Nobel (solo ad Harvard: 161 Premi Nobel, 23 leader di nazioni e 132 vincitori del prestigioso Premio Pulitzer).
“Se Harvard non riuscirà a dimostrare il pieno rispetto dei suoi obblighi di segnalazione, l’università perderà il privilegio di iscrivere studenti internazionali”, ha scritto in un comunicato stampa il Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti. In pratica, l’amministrazione Trump ha minacciato di vietare all’Università di Harvard di ammettere studenti stranieri se non accetterà di sottoporsi a controlli sulle ammissioni, sulle assunzioni e sull’orientamento politico. La ragione più citata di questi attacchi è che le università non avrebbero fatto abbastanza per contrastare episodi di antisemitismo nei campus durante le proteste degli scorsi mesi contro la guerra nella Striscia di Gaza. Ma il disprezzo verso le università e la cultura ha radici lontane e ragioni politiche e culturali profonde.
L’Università di Harvard ha deciso, però, di ribellarsi alle nuove imposizioni del governo federale. A quale prezzo? 2,2 miliardi di fondi, che potrebbero arrivare fino a 9 miliardi; tanto costerebbe il dissenso di Harvard verso le richieste antidemocratiche di Trump.
Harvard non resterà sola, purtroppo, a subire la mannaia del trumpismo; la Columbia University si è vista sospendere 400 milioni di dollari ed anche se ha ceduto alle richieste di Trump, non ha ancora riavuto indietro i fondi. La Brown University ha subito un taglio di 510 milioni, la Cornell un miliardo, la Northwestern 790 milioni, la Princeton 210 milioni e l’Università della Pennsylvania 175 milioni. E molti temono che non sia finita.
Harvard, però, non vuole cedere al ricatto e alla perdita della libertà di espressione ed ha annunciato che resisterà alle richieste dell’amministrazione Trump. “Nessun governo – indipendentemente da quale partito si trovi al potere – dovrebbe decidere che cosa possano insegnare le università private, chi esse possono ammettere o assumere, e quali aree di studio e di ricerca debbano perseguire”; “l’università non rinuncerà alla sua indipendenza né rinuncerà ai suoi diritti costituzionali”, ha scritto il presidente dell’Università di Harvard, Alan Garber.
Ma c’è un altro prezzo che il paese e, azzardiamo, l’umanità pagherà da queste politiche scellerate di blocco dei finanziamenti per la sola colpa delle università di non allinearsi al nuovo corso politico: è quello di perdere opportunità di cura, di benessere sociale, scientifico, tecnologico e anche di competizione internazionale.
Trump, in pratica, sta mettendo i dazi anche sulla democrazia; speriamo solo che nel suo “gioco” politico di: “metti i dazi, togli i dazi” ci sia ancora spazio per dissentire, senza rischiare la galera o l’espulsione, e comprendere che una democrazia si alimenta e si mantiene solo quando promuove una società della conoscenza e una cittadinanza scientifica.