La Fondazione “Porta sant’Andrea” organizza un convegno con la lectio magistralis del dott. Giacomo Fumu, presidente della IV sez. penale della Corte di Cassazione

Appuntamento al 14 dicembre, ore 18.00, presso la Scuola Secondaria di Primo Grado “Pasquale Cafaro”, in via Stradella, 18

Dal 2009 al 2012 sono stato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e sulle cause dei disavanzi regionali (XVI legislatura). Un’importante esperienza professionale nell’ambito della quale ho potuto – come dire – toccare con mano il livello di preoccupazione della classe medica nazionale per le conseguenze penali di un evento “avverso”: un’inquietudine, non di rado un’ansia, non giustificata dagli esiti dei procedimenti per colpa professionale, che frequentemente (in più del 90% dei casi) si risolvono in modo positivo per il sanitario già nella fase delle indagini preliminari (archiviazione).

La Commissione accertava che questa percezione acuta, sovrastimata del “rischio” punitivo (molto probabilmente acuita dal clamore mediatico di alcune vicende più o meno eclatanti), a sua volta, sosteneva il feedback della medicina difensiva, ovvero dei comportamenti negativi e positivi, praticati non in funzione delle reali esigenze terapeutiche e diagnostiche del paziente ma con lo scopo di prevenire appunto l’eventualità di un “infortunio giudiziario”.

Emergevano dati impressionanti ulteriormente confermati da una coeva ricerca del Centro Federico Stella per la Giustizia Penale: il 77,9% del campione di medici consultati aveva tenuto almeno un comportamento di medicina difensiva nell’ultimo mese di lavoro (92,3% nella classe 32-42 anni); il 68,9% aveva proposto/disposto il ricovero di pazienti che riteneva gestibili ambulatorialmente; il 61,3% aveva prescritto un numero di esami maggiore rispetto a quello ritenuto necessario per effettuare la diagnosi; il 58,6% aveva chiesto il consulto di altri specialisti pur non ritenendolo necessario, il 51,5% aveva prescritto farmaci non necessari, il 24,4% aveva prescritto trattamenti non necessari (es. oltre a quelli prescritti dalle Linee Guida o dai Protocolli), il 26,2% aveva escluso pazienti a rischio da alcuni trattamenti, al di là delle normali regole di prudenza, il 14% aveva evitato procedure rischiose (diagnostiche o terapeutiche) su pazienti che avrebbero potuto trarne beneficio[1].

La Commissione giunse a stimare che i costi di questo approccio dei “camici bianchi” italiani potessero sfiorare i 10 mld di euro (ovvero lo 0,75% del Pil). Numeri enormi che hanno indotto il legislatore ad intervenire a più riprese, prima con il c.d. decreto Balduzzi[2] e poi con la riforma c.d. Gelli-Bianco[3]. Quest’ultima legge – cui ha dato un contributo importante l’onorevole andriese Benedetto Fucci –, a differenza della precedente, non si è limitata a riformare i profili penalistici della responsabilità professionale ma ha ridisegnato molti aspetti della disciplina dell’attività medico-chirurgica.

Mentre nel complesso la c.d. “Gelli-Bianco” merita un giudizio tutto sommato positivo non altrettanto si può dire della riscrittura della nozione di colpa professionale. Il nuovo art. 590-sexies del codice penale si è rivelata ben presto una norma confusa e di difficile comprensione, come può agevolmente intendere anche chi non ha un “preparazione giuridica”, anche solo leggendo il testo dello stesso articolo: «Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 (ovvero l’omicidio e le lesioni colposi, n.d.r.) sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».

Fatto sta che nemmeno sei mesi dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione, la giurisprudenza della IV sezione penale della Suprema Corte si frammentava in tre indirizzi differenti. Si rendeva quindi necessario l’intervento delle Sezioni Unite[4] che di fatto operavano una riscrittura della norma, riconoscendo, in evidente contrasto con la c.d. ratio legis, un ambito di operatività della colpa professionale (in alcune circostanze) persino più esteso di quello delimitato dal c.d. decreto Balduzzi.

Basta questa breve premessa per cogliere l’importanza del convegno che si terrà ad Andria il 14 dicembre p.v. con il dott. Giacomo Fumu, presidente della già evocata IV sez. penale della Corte di Cassazione, cui compete l’esame dei ricorsi di legittimità sui casi di colpa professionale. Nell’occasione, verrà anche assegnata la borsa di studio “Pasquale Marano”.

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[1] Cfr. Forti G. – Catino M. – D’Alessandro F. – Mazzuccato C. – Varraso G., Il problema della medicina difensiva, Etas, 2010. Ampie sintesi sono disponibili on line. Cfr. D’Alessandro F., Responsabilità penale del medico: errore e medicina difensiva, http://www.aopoma.it/oggetti/1821.pdf; Il problema della medicina difensiva: una proposta di riforma, http://www.sichirurgia.org/stampa/pdf/LaricercaMD.pdf

[2] D.L. 13 settembre 2012, n. 158 conv. in l. 8 novembre 2012, n. 189.

[3] L. 8 marzo 2017, n. 24.

[4] Cass., SSUU, sent. 21 dicembre 2017 (dep. 22 febbraio 2018), n. 8770, Pres. Canzio, Rel. Vessichelli, ric. Mariotti