Lover of life, singer of song…
Farrokh Bulsara , noto come Freddie Mercury, è stato uno dei più noti, celebri, esuberanti cantautori della storia musicale oltre i confini del mondo.
Ha scritto la storia dei Queen dal 1970 al 1991, anno della sua morte.
Ha scritto la sua storia di uomo, con le sue fragilità, molto spesso celate dall’irruente ed impetuosa forza della musica.
Cresciuto in una conservatrice e tradizionalista famiglia proveniente da Zanzibar, poi trasferitasi a Londra, scrive la sua storia con coraggio, sfidando quelle convenzioni anni ‘70 per seguire il suo sogno: fare musica.
Farrokh, poi Freddie, esce di sera come molti ragazzi della sua età, per frequentare pub in cui si suona, e in uno di questi pub inizia proprio la sua storia musicale, perché, per una strana coincidenza, il gruppo musicale che lui ascolta ha perso il cantante solista, così Freddie propone la sua candidatura.
Esuberante nel suo aspetto, nei suoi denti protesi verso l’esterno, con la sua bocca pronta ad urlare la sua musica, con i suoi capelli da ragazzo anni ‘70, decide con coraggio di fondare un gruppo musicale, anzi no, il gruppo musicale: i Queen.
Non voglio raccontare la cronistoria di un film per me scritto magnificamente dal primo all’ultimo minuto. Voglio scrivere di Freddie Mercury, di quando avevo solo sei anni quando è morto, di una mia amica d’infanzia che mi disse che era morto, ma io troppo piccola non sapevo chi fosse, e poi negli anni, ho ascoltato la sua, la loro sublime musica.
Bohemian rhapsody è un viaggio nella storia, una storia che avrei voluto vivere tra gli spalti degli stadio in cui facevano i loro concerti, ma che non ho potuto vivere perché troppo piccola; la storia di un uomo, pieno di successo, ma solo, profondamente solo.
Freddie vive la difficoltà di ammettere di non amare le donne, la difficoltà di dire a Mary che non può stare più con lei, perché omosessuale, la difficoltà di staccarsi comunque da lei, tanto da volerla accanto a sé comunque per sempre. Freddie vive l’isolamento e cerca di combatterlo organizzando feste, esagerate, esasperate per sopperire il nodo pesante della solitudine, ma forse la sua vera solitudine è non aver attraversato davvero un viaggio dentro se stesso, nel suo più profondo io. In una di queste feste Freddie conosce un cameriere, per cui prova una ricambiata attrazione, che gli dice di cercarlo solo dopo che avrà scoperto chi è davvero. Jim Hutton, di lui conosce solo il suo nome, ma questo semplice nome, lo accompagnerà fino all’ultimo dei suoi giorni.
Confuso da chi vuole solo i suoi soldi, da chi vuole farlo separare dai Queen, Freddie, riesce a vincere, a rimettere il gruppo in piedi, a raccontare di aver contratto l’aids, il male della sua vita, di non volere compassione, pubblicità del dolore.
Freddie canterà per l’ultima volta in un colossale concerto londinese con i suoi Queen, con la sua gente, il pubblico che tanto ama e che tanto lo ama. Non salirà su quel palco prima di aver salutato i suoi genitori, prima di aver presentato loro Jim.
Per quel concerto, nel lontano 1985, Londra, sarà un vortice di geniale follia musicale, passione, urla, performance, sì perché Freddie si sentiva un performer; quel concerto vorrà essere un aiuto per alleviare la carestia in Etiopia, passò alla storia come il Live Aid.
È così che si conclude Bohemian Rapsody, di lì a sei anni, si spegnerà Freddie, che negli ultimi tempi vivrà una vita dura, ma piena dell’amore del suo compagno Jim, che resterà fino all’ultimo con lui, di Mary, che resterà per sempre la sua migliore amica, e dei Queen, i suoi amati Queen.
Lover of life, singer of song, è questo il suo epitaffio. Amante della vita, cantante di canzoni, sì perché forse, oltre il suo essere performer, il suo essere esuberante, Freddie era un uomo fragile e profondo, e per questo amante della vita, che gli ha tanto sorriso, ma gli ha anche tanto fatto male.