Francesco d’Assisi nelle parole dei poeti.

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». La prima delle beatitudini tuona sempre più forte ed evangelicamente scandalosa quanto più la ricchezza, il benessere ad ogni costo e la ricerca spasmodica del piacere diventano l’unico orizzonte umano. In realtà, quella felicità che sembra nascondersi tra le pieghe dell’effimero, prima o poi, d’un tratto si rivela per ciò che è veramente: un vano tentativo di costruire la propria vita sulle sabbie mobili di ciò che passa, dimenticando o ponendo ai margini quello che realmente conta: l’amore. L’aveva capito bene Francesco d’Assisi quando, pur di non rinunciare al sogno di una vita felice perché piena e ricca d’amore, seppe allontanarsi dal superfluo, spogliandosi simbolicamente davanti al padre che non capiva… Così canta la scena la poetessa A. Merini:

Ma è giusto, Signore,

dimenticare

chi a modo suo ci ha amati

ricoprendoci di denaro

e di vesti sontuose?

E’ la miseria di un genitore

Che non capisce

che figlio appartiene a Dio?

Ma un uomo come mio padre,

che aveva paura della morte,

come poteva capire?

Il denaro è una scusa

per difendersi dalla morte,

è una maschera sotto cui l’uomo si nasconde

per non far vedere che è un angelo,

un angelo triste e tribolato.

Io volevo essere nudo,

volevo essere solo anima.

 

Ieri il «denaro» e le «vesti suntuose»; oggi un conto in banca da far invidia e il cellulare appena messo in commercio. Ieri la «miseria» di un padre che non comprende i gesti e la parole del figlio che vuol diventare povero tra i poveri; oggi la disperazione di tanti genitori che fanno fatica a decifrare il silenzio dei figli e la loro malvagità che d’un tratto esplode senza nessun preavviso. Ieri Francesco ha saputo sottrarsi alla «maschera» che non gli permetteva di scorgere la luce; oggi l’uomo continua a nasconderci pur di non apparire nudo, pur di non ammettere di essere «solo anima» che spera di tornare a vibrare per sentirsi viva. Fino a quando sarò anch’io «angelo triste e tribolato»?

 

Mio padre, che ho tanto amato,

era vestito di pura menzogna.

E si rallegrava soltanto

quando io godevo di quei beni

per dar da mangiare ai miei vizi.

Come ho alimentato le mie colpe, Gesù,

come a me è servito  quel denaro

per disconoscere il creatore.

Metallo,

metallo di avarizia.

Ma come posso capire un padre

che nella carne di un figlio

ha visto il suo avvenire?

Che cosa è la donna che amo?

Che cos’è Madre Povertà?

 

Può la povertà essere un dono benaccetto? Come essere padrone dell’universo se l’unica ricchezza che posseggo è la povertà? Questione di sguardo. L’aveva capito bene Dante, quando nell’undicesimo canto del Paradiso, prima di raccontare la gloriosa vita del Santo d’ Assisi, premette quattro terzine attuali più che mai:

O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!

Chi dietro a iura, e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,

e chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s’affaticava e chi si dava a l’ozio,

quando, da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m’era suso in cielo
cotanto gloriosamente accolto.     (Par. XI, 1-12)

Solo ora che è in cielo, guidato dall’amore di e per Beatrice, sostenuto dal desiderio sempre più urgente di vedere Dio, il pellegrino è in grado di denunciare la folle preoccupazione degli uomini («insensata cura dei mortali»). Lo studio del diritto che in quegli anni cresceva e si consolidava, («iura»), il sacerdozio considerato quale mezzo di arricchimento e non via di spogliazione e servizio, il commercio e la lussuria, allontanavano l’uomo dalla felicità che andava cercando. Se gli uomini sono «nati a formar l’angelica farfalla, che vola a la giustizia senza schermi» (Purg. X, vv. 125-126), i vizi denunciati nel Paradiso ostacolano tale processo facendo «in basso batter l’ali» (Par. XI, 3). L’insegnamento di Francesco – e di Dante- è sempre attuale: solo staccandosi dalla terra l’uomo potrà considerarla per quella che è veramente, e cioè un luogo per fra crescere l’amore nella povertà che non reca affanno.

Anche noi,

con la povertà che ci ha regalato il Signore,

diventeremo straordinariamente ricchi.

Daremo da mangiare a tutti.

Questo non ha capito Ser Bernardone:

che noi eravamo i padroni dell’universo