Un film che appare carente di poesia e di incanto, imperfetto sino a sembrare un b-movie modesto

Ha vinto 4 premi Oscar 2018: miglior film, miglior regia, miglior scenografia, migliore colonna sonora. È il nuovo film di Guillermo del Toro. Vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia.

Ambientato in America ai tempi della Guerra Fredda, 1950 circa, pretende di essere una favola sull’amore che non conosce confini e accomuna, unisce: lei è muta, si chiama Elisa (Sally Hawkins) e lui è un mostro, l’attore Doug Jones, mezzo uomo e mezzo pesce, ritrovato in una palude e venerato come un dio dalle tribù locali.

Elisa è addetta delle pulizie in un laboratorio governativo, è prigioniera della sua imperfezione fisica, dell’assenza di voce che la intristisce e mortifica perché la fa sentire diversa e incompleta, vive di routine ogni giorno: si alza presto, si fa il bagno nella vasca masturbandosi, fa colazione a base di uova lesse.

Ha una amica del cuore Zelda (Octavia Spencer) come lei pulisce il piscio e altro, ha un amico del cuore e vicino di casa, omosessuale, l’attore Richard Jenkins.

Ha un nemico in comune con la bestia di cui si innamora, lo straordinario attore, ignorato dagli Oscar, Michael Shannon che interpreta un Agente del Governo costretto per la carriera a fare da badante al mostro che egli stesso ha catturato.

C’è uno scienziato, spia russa in incognito, intelligente e buono, l’attore Michael Stuhlbarg che la aiuterà a compiere il destino del mostro.

Ho voluto vederlo due volte, in giorni differenti, al cinema, me lo sono spellato e spolpato. Ho scritto che “pretende” di essere una favola perché è solo una apologia superficiale sull’amore che si concede, illuminando, senza pretendere la perfezione di chi ama. È una bolla di sapone che nessuno può fare a meno di guardare incantato mentre si alza in volo, un bluff, un giocattolo viziato e lodato dalla critica mondiale. È un prodotto dei soldi che manca di intimità, le scene di sesso e gli abbracci non lo sono. È carente di poesia e di incanto. Non so, è un mio limite, se è volutamente imperfetto sino a sembrare un b-movie modesto.

Sally Hawkins è a tratti imbalsamata, costipata, inespressiva. Richard Jenkins è bravissimo ma non si scosta dal suo solito personaggio tormentato e giusto.

Una vera scoperta, un diamante, è Michael Shannon: cattivo e introverso sino a sembrare vero.

La regia è potente, visionaria, elegante ma non basta. La sceneggiatura è lacunosa, immatura, lascia spazio alla bellezza delle inquadrature, punisce saccentemente e dolosamente certi personaggi tanto da mancare di donar loro un’anima in cui nuotare trattenendo il fiato.