Il passaggio della proprietà e del controllo da una generazione all’altra è un momento molto delicato, da cui dipende il futuro e la sopravvivenza stessa dell’azienda.

Trasferire il codice genetico di una azienda non è cosa semplice. Implica il trasferimento di un patrimonio di esperienze e competenze di gestione. Anni e anni di duro lavoro, lotte, risultati, fallimenti da consegnare, chiavi in mano, ai propri figli o eredi. È un momento cruciale e delicato per la vita di una impresa e merita di essere affrontato con preparazione, consapevolezza e lucidità, da entrambe le parti.

In Italia le imprese con a capo persone con più di sessant’anni sono il 60% del totale, quindi nei prossimi anni affronteranno certamente un passaggio generazionale. È atteggiamento comune quello di voler lasciare la propria eredità ad un familiare.

Considerando che la maggioranza delle piccole e medie imprese italiane sono a gestione familiare, il problema del passaggio generazionale assume una importanza notevole, anche perché sono sempre di più le imprese che ne sono interessate.

I dati sul passaggio generazionale a livello italiano sono abbastanza allarmanti. Resistono alla seconda generazione il 25% delle imprese, mentre soltanto il 15% resiste alla terza generazione.

Secondo il 9° censimento dell’industria e dei servizi dell’Istat, nei prossimi anni una impresa su cinque affronterà un cambio direzionale. È quindi importante definire in anticipo i dettagli legati al momento critico. È un processo naturale, ma per essere efficace va organizzato e programmato, come qualsiasi altro processo aziendale, pianificando in modo efficace ed efficiente il passaggio delle consegne. La domanda che accompagna spesso questo processo, e che si pongono sia i collaboratori, che forse anche l’imprenditore stesso è: “I figli saranno all’altezza del padre?”

L’eredità di una azienda non dovrebbe essere legata solo ed esclusivamente all’eredità genetica del fondatore ma, soprattutto, a quella imprenditoriale. Non è da tutti saper gestire un gruppo di lavoratori e una impresa, ecco perché sono sempre più frequenti i casi in cui si affida la gestione ad un manager esterno alla famiglia, qualcuno che, per conto dei propri discendenti, riesca a gestire con freddezza l’azienda. Ci sono anche figure specializzate nell’affiancamento durante la fase del passaggio, capaci di formare i futuri imprenditori e di affiancarli nelle decisioni più difficili. Ci sono, inoltre, una serie di soluzioni, legali e fiscali, che supportano gli eredi nella gestione dell’azienda appena presa in consegna, come il “patto di famiglia”, una sorta di accordo scritto che serve a prevenire situazioni di conflitto che potranno presentarsi nel tempo o il “family buy out”, un’operazione che porta all’assunzione, temporanea, del controllo di quote della società nelle mani di un ristretto numero di soci.

Oltre alla questioni legali e fiscali, è anche giusto attivare un processo di motivazione della nuova generazione. Non sempre il passaggio di padre in figlio è un qualcosa di naturale, ma a volte è una imposizione nei confronti dei figli: se le capacità o le motivazioni non sono sufficienti, molto probabilmente l’impresa avrà risultati negativi, nel medio o nel breve periodo.

La prima generazione vede la propria impresa come una fonte occupazionale per i membri della famiglia, a cui si assegnano ruoli di responsabilità, anche in assenza di capacità ed esperienze, causando così demotivazione o, addirittura, ostilità delle forze presenti in organico e performance non elevate. Spesso poi il momento della delega viene rimandato continuamente ritenendo inadeguati i propri successori. Questo genera conflitti o sovrapposizioni di dinamiche aziendali e psicologiche.

Il sole 24 ore ha stilato un decalogo per il passaggio generazionale, un’utile guida per chi affronta questa fase delicata della propria attività.

Luisa Fasanella


[ Foto: Web ]

 

 

 


2 COMMENTI

  1. Luisa buonasera
    Sono stato molto attratto dal titolo di questo articolo perché ho vissuto in prima persona un passaggio generazionale come da titolo “eredità solo economica e non imprenditoriale”. Nel mio caso è stato nel settore agricolo ma mentre nel suo articolo ci si chiede giustamente se i figli saranno all’altezza dei genitori io mi sono trovato nella situazione inversa.
    Ho veramente ereditato solo una realtà economica ma NON mi è stata trasferita una eredità imprenditoriale. Per fortuna me la sono costruita velocemente (dato il mio passato di manager) ma altri come me si ritrovano a fare i conti con questa realtà: giovani che non sanno cosa vuol dire impresa. Naturalmente questo concetto non c’entra con l’articolo che ha scritto tuttavia il titolo mi ha stimolato questa riflessione e ho voluto riportarla.

    • Buongiorno Liam,
      Sono contenta che anche solo il titolo l’abbia portata a fare delle riflessioni.
      Non ho ereditato imprese o aziende, ma ne ho viste abbastanza e tutte, purtroppo, con le stesse peculiarità. Sono contenta che ci siano “seconde generazioni” come la sua preparate, che hanno avuto l’opportunità di vivere esperienze esterne rispetto a quella dell’impresa di famiglia, e sono sicura che sia solo una forma di ricchezza culturale ed esperienzale che, prima o poi, verrà riversata nell’impresa di famiglia.
      In bocca al lupo.

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