Manifestazione a Roma, della CGIL, contro i voucher: pensionati che barattano la loro dignità con panini infarciti di mortadella, bicchieri di vino, gadget e quattro passi per Roma…

Lo si incontra sovente ai giardini pubblici della stazione di Barletta, Giuseppe R., “Peppino” per gli amici. Dall’età di undici anni, dopo la scuola elementare, impasta malta e calcestruzzo, ingoia “tufino”, calce e cemento, demolisce e costruisce pareti, che intonaca e piastrella.

Con il pullmino della ditta raggiunge una delle tante città del Nord. Vi soggiorna dal lunedì mattina al venerdì sera. Appena dieci, dodici ore al giorno, per portare qualche lira in più a casa. Dorme su un pagliericcio, prepara i pasti in una cucina raccogliticcia di un appartamentino di periferia, messo a disposizione dell’impresa. Col fagotto di robe sporche, rientra settimanalmente a casa. Lui, come tanti. Durante il boom economico e dopo.

Il tempo di rivedere i figli, accuditi, durante la sua forzata assenza, dalla moglie, stare in famiglia, fare all’amore. Chiacchiere con amici e parenti, Santa Messa, strascico su Corso Vittorio Emanuele. La sera della domenica si accascia nel pullmino, e puntuale il lunedì alle sette sul cantiere, col sole rovente ed il freddo raggelante. Per una vita. Mai vacanze, nessuno svago.

Mantiene la famiglia, compra una Ford, sposa due figlie, Ninetta, parrucchiera e Nicoletta, casalinga. Un mutuo trentennale, costatogli inenarrabili sacrifici, gli consente di comprare un modesto appartamento.

Insomma, gli va abbastanza bene. Ne vede di colleghi rimanere disabili o raggiungere prematuramente via del Gelso, per infortuni sul lavoro o malattie professionali!

Capita che i vari imprenditori, brava gente, lor signori, dimentichino sistematicamente di versare i contributi previdenziali. Ora, quando si reca alla Posta, mette in tasca 500 euro di pensione. Ha bisogno della guardia del corpo!

Quotidianamente, accompagna i nipotini alla scuola e li va a riprendere, all’uscita. Malattie imperversanti. Perciò, sovente, staziona assieme a tanti altri poveracci sul pianerottolo del poliambulatorio della Asl di via Sant’Antonio. Quattro chiacchiere con gli amici del Bar Sport, spesa al mercato di Piazza Giuseppe Di Vittorio, qualche puntatina alle slot machine o giocate al lotto. Non vince, ma… non si sa mai.

Agli anziani come lui non viene proposto l’impegno in giardini sociali, la partecipazione ad iniziative ginniche, artistiche e culturali. Gli unici passatempi, la televisione (Raccomandabile, per la disinformazione ed il becero intrattenimento!) ed il gioco locale del “mediatore”. D’inverno presso la sede dell’associazione di categoria e d’estate su una panchina di legno nelle vicinanze del Bar “Nicolino”, dove si forma un nutrito capannello di gente dai capelli brizzolati o bianchi che assiste alla partitella a carte e commenta eventi locali o nazionali.

Peppino, abile nel giocare, frequentemente vince, mettendo in tasca qualche soldino e, da buon affabulatore, gestisce anche il mazzo delle parole. Oggi, è già il quarto giro, e la fortuna non gli arride. Tace. Alquanto imbronciato.

Nicola (altro giocatore) – Peppino, ieri pesava la tua assenza.  Com’è andata a Roma la manifestazione contro i voucher?

Peppino – (Non se lo fa ripetere una seconda volta. Ha una marea di fatti ed emozioni da raccontare. Parte in quarta) Mio genero, Savino, il marito di Nicoletta, ci accompagna con la machina a Bari, al rione Japigia. Dieci pullman ad aspettare, ed ancora di più a via Carrassi. Noi arriviamo per primi. Alla spicciolata, gli altri, in gran parte coppie di anziani, decorosamente vestiti.

Finalmente il capo pullman, un signore di mezza età. Fa l’appello, gli chiedo gentilmente di farci sedere davanti, perché a Sterpeta, la mia signora, il viaggio su gomma crea qualche fastidio. Fa finta di non sentire, glissa, si allontana. In realtà, ha già riservato un congruo numero di posti a sedere per la sua famiglia ed un nugolo di suoi amici e compari.

Mia moglie storce il naso, indispettita, ma io non ci do peso. Ne ho subiti tanti di soprusi ed angherie nella vita che ci ho fatto il callo.

(Si ferma nel dare le carte ed ai suoi occhi riappare la scena che non lo molla dal giorno precedente. Poi, riprende.) Vicino a quel tracotante e borioso pallone gonfiato siede una signora, che donna! Che abbigliamento! Fa fremere me, che ho superato i settant’anni, figuriamoci un giovane. (I polpastrelli della mano si congiungono, e parte un bacio all’aria. Poi, scandendo ogni parola.) Un vestitino leggero, trasparente, giallo, tenue come la paglia. Di sotto…, ragazzi, un reggiseno nero come il carbone. Mi si mozza il fiato. Gli occhi, inavvertitamente, vanno in quella direzione, e Sterpeta mi pianta dei colpi di gomito nel fianco.

Gli altri giocatori. – (All’unisono) Potevi informare anche noi. Eccome che saremmo venuti!

(ll colorito racconto, le risate ed i commenti, come una striscia moschicida, calamitano anziani che di solito ciondolano soli su una panchina, pazienti, con gli sguardi vuoti, persi nel nulla, in attesa…)

Peppino – Prima di partire, il vano bagagli si riempie di numerosi pacchi di alimenti, capaci di sfamare un esercito. “Chissà che leccornie contengono”, mi dico. Mi lecco i baffi al solo pensiero e glielo riferisco alla signora. “Hai preso con te le pillole per la pressione ed il diabete? Hai dimenticato che dobbiamo metterci a dieta tutti e due? Siamo sovrappeso, come altri quindi milioni di italiani” ammonisce. Faccio finta di non sentire.

(Quasi chiedendo l’assenso e la complicità dei colleghi di gioco.) Che senso ha vivere, altrimenti, soprattutto ora che abbiamo appeso al chiodo il…

Gli altri – Tu-u-u, parla per te! Noi siamo ancora in trincea!

Peppino – (Sorride sornionamente e non replica) Alle sei, a Roma, a Piazza San Giovanni. Sterminata. Che palco, ragazzi. Faraonico. Mai visto uno così grande! Gli operai lo stanno ancora allestendo, quando arriviamo. Quanti striscioni!

Parole d’ordine ripetute alla nausea: “Rispetto per il lavoro, rispetto per la democrazia, rispetto per la Costituzione.” Ne sventolano, poi, tantissimi altri inneggianti al sindacato, la CGIL, che ha organizzato la manifestazione. Il palco pullula di bandiere rosse. Palloncini che reggono altri striscioni imperlano il cielo. Che scenografia fantasmagorica! Chissà quanto avranno speso!

Nicola – Sono soldi degli iscritti. È la strategia propagandistica del sindacato. Per nascondere l’incapacità di mediare equi contratti di lavoro con la controparte. Ormai conta come il due di spada, viene agevolmente dribblato dal Governo anche quando la Consulta riconosce il diritto di indire il referendum contro i voucher. Non è la CGIL di Peppino Di Vittorio.

Peppino – A me la politica non interessa. Contano i fatti. E vedo con i miei occhi che il Sindacato sa muoversi. Ci sa fare. Piazza San Giovanni, infatti, è gremita di gazebi bianchi.  Bottigliette di acqua a volontà. Volantini, regalini di ogni tipo. Solo l’imbarazzo della scelta: magliette di cotone, cappelli di tela, bandane, guanti che simulano una mano enorme, ombrelli per ripararsi dal sole, giacche rosse con su scritto “altrimenti ci arrabbiamo”, braccialetti, spillette, bandiere con l’asta, fischietti con laccio, borse di tela. Puoi riempire delle borse ed andartene, senza che nessuno ti guardi storto o dica qualcosa.

Gli unici gazebi dove si paga, sono quelli di Amatrice e Rieti, zone terremotate che espongono prodotti tipici della loro terra: formaggi, salumi, lenticchie di Castelluccio, miele, tartufi. Qui, solo un minuscolo assaggino. La gente si assiepa per curiosare e chiedere del dopo terremoto.  Al capannello di pensionati viene risposto: “Per noi nulla è cambiato dopo il terremoto. Dopo le promesse, le passerelle in televisione, le interviste dei politici sui giornali. Neppure le macerie sono state ancora rimosse!”

Non appena vengono aperti i gazebi della ristorazione, la calca aumenta all’inverosimile. Le affettatrici, instancabili, a getto continuo sfornano fette di mortadella che farciscono enormi panini sbudellati senza misericordia. Ne puoi prendere quanti ne vuoi. Occorre solo un bello stomaco, come il mio. Il vino scorre ad ettolitri, ed io ne scolo di bicchieri! Dopo, però, prendo le pillole! Per prevenzione.

Un immondezzaio, per terra. Una signora anziana, salita a Bari sullo stesso pullman, mi pare, Isa, di nome, raccatta un cartone per invogliare la gente a non sporcare la piazza.  Da quel momento, molti gettano i rifiuti nell’improvvisato contenitore.

(Si continua imperterriti a giocare, il sole ormai volge al tramonto, e le montagnole di monetine passano da un giocatore all’altro. Nel frattempo, L’assembramento è diventato consistente.)

Peppino – Arraffo manciate di gadget e riempio due borse. (Rivolgendosi agli amici.) Domani li porto anche a voi. Li ho distribuiti a tutti gli amichetti dei nipotini. Stracarichi, ce andiamo a passeggio per Roma. Piazza Esedra, Fontana di Trevi, il Colosseo. I Fori Imperiali. È facile spostarsi. La metropolitana, per l’occasione, non si paga.

Quanti manifestanti incontriamo a zonzo per Roma! Per le strade, nei negozi, nelle chiese, davanti ai monumenti! Tutti felici, allegri.  Li riconosco subito per i cappellini rossi e le borse cariche di regalini. Sembrano scolaretti in gita. Anche mia moglie è su di giri. Non è per niente petulante, anzi… accomodante. “Speriamo che ne facciano altre di queste belle manifestazioni. Peppì, ancora te le fai sfuggire?” si raccomanda.

Incrociamo un corteo, animatissimo e coloratissimo che sfila per la Capitale. Ci sono tanti pezzi grossi del sindacato, riconosco la Camusso. Mi dicono che raggiungerà Piazza San Giovanni, dove farà un comizio di circa un’ora a quelle migliaia di persone che aspettano interventi ed iniziative forti contro i licenziamenti e la precarietà occupazionale.

Giovanotto – (Tra gli astanti un giovane, alto, capelli scuri, occhiali neri, maglietta bianca con su scritto “Tibet libero”, che ascolta con interesse il racconto, assieme a suo padre.) Ma lei e sua moglie perché andate a Roma se non siete sinceramente motivati?

Peppino – Giovanotto, mi pare che tu sei un po’ “intufato”, anche se vai a scuola. Andiamo a Roma perché è tutto gratis. Viaggio, vitto e regalini.

Giovanotto – Molti di voi pensionati, non vi rendete conto di fare tappezzeria sociale? Siete usati come dei figuranti! (Il padre che sta vicino gli pesta un piede e gli dà una gomitata.)

Peppino – Giovanotto, non sono mica andato a rubare?! È facile fare demagogia sociale e politica. Tu non sai come va la vita. Ascolta me! Che so come viaggia il mondo. La prossima volta che la CGIL organizza un’altra bella manifestazione, ti informo, così vieni anche tu e vedrai che cambierai idea! Le tue chiacchiere non riempiono la pancia.

(Rivolgendosi a tutti i presenti, avendo vinto quindici euro.) Stasera offro birra per tutti.

(Molti spettatori si accodano, compiaciuti e plaudono.)

Giovanotto – Posso chiamarla “Peppino” come gli altri?

Peppino – Certamente!

Giovanotto – Rifletta, su quello che ho detto, caro Peppino! Lei è principalmente una vittima! Oltre che uno scroccone. Nell’antica Roma i patrizi gozzovigliavano anche per tre giorni consecutivi ed ogni tanto lanciavano qualcosa agli schiavi che si azzuffavano tra di loro nel raccattare degli ossi con un po’ di carne. Nella Roma di oggi, sono cambiate le forme, ma la sostanza è rimasta la stessa del passato. I poveri lottano tra di loro, se la prendono con gli immigrati, invece di comprendere chi sono i veri responsabili della crisi, che prima di essere economica è culturale, sociale, spirituale, ambientale. Politica. Ho seguito dall’inizio, il suo racconto! Ha visto come è stato trattato dal capo pullman? Con arroganza! E boria!

Che fine hanno fatto, poi, i tanti pacchi accatastati nel bagagliaio? Chi ha avuto il privilegio di assaggiare le leccornie contenute. Ai poveri vecchietti si sono limitati ad ammannire mortadella e panini! Bella consolazione. Le più elementari norme dietetiche messe sotto i piedi. La salute dei partecipanti alla manifestazione calpestata!

Quale attenzione è stata riservata alla problematiche fisiche di sua moglie? Le sono stati anteposti i privilegi, familiari e clientelari! E la sua signora, giustamente si è indignata, mentre lei, abituato ad essere bastonato da un’eternità, si è talmente rassegnato che non ha mosso neanche un dito per ribellarsi, per difendere la madre delle sue figlie!

Lei, Peppino, mi può essere nonno, per l’età. Le porto rispetto per i venerandi capelli , ma con affetto sincero e franchezza, le dico che provo compassione e tenerezza. Lei, per chi l’ha invitata a Roma, serve solo per far numero, non per contare davvero! Il rispetto della democrazia e della Costituzione non deve essere solo enunciato, ma anche praticato.

Lei non ha rubato niente, è vero, anzi è stato derubato, scippato della sua dignità. Non può solo limitarsi ad accompagnare i cari nipotini a scuola, deve anche educarli al valore del rispetto di se stessi. Con gli atteggiamenti e le condotte.

(Poi, gli stringe la mano. Gli chiede scusa della crudezza e ruvidezza delle sue parole. Affabilmente, lo abbraccia, lo ringrazia per l’offerta della birra, saluta e si allontana… scuotendo amaramente la testa. Nel suo viso e nella sua pantomima, si legge un misto di profonda commiserazione ed indignazione).

Giunto sull’altro marciapiede, sbotta con il padre: “Con siffatti corpi intermedi, sclerotizzati, con questi adulti, superficiali ed irresponsabili con questa generazione, schiava del consumismo più becero, noi giovani saremo costretti a rimanere disoccupati o ad emigrare all’estero! Se siamo fortunati! Senza futuro!!! Senza poterci sposare. Senza avere una famiglia. Papà, se si continua di questo passo, rassegnati! Non ci saranno nipoti che porteranno fiori sulla tua tomba e “parleranno con il tuo cenere muto.”

“Il territorio continuerà ad essere depredato di tutte le sue ricchezze, naturali ed artistiche, violentato con abusi urbanistici ed edilizi. Il suolo, l’acqua e l’aria avvelenati. La biodiversità un ricordo del passato. Parossistica, l’accelerazione delle diseguaglianze. Gli animali, allevati senza un barlume di etica, esclusivamente carne da macello ingozzata fino all’inverosimile di ogni sorta di nefandezza chimica. Bella prospettiva!”

“Occorrerebbe insorgere. Pacificamente! Con una sana e lungimirante politica. Con la democrazia diretta e partecipata, che veda tutti quanti protagonisti del proprio futuro! Se è stata possibile la disutopia, è altrettanto possibile realizzare l’utopia! Bisogna solo crederci ed impegnarsi per realizzarla. In prima persona. Senza delegare agli altri”.


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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.