La giovane cantante andriese si confessa a cuore aperto: gli anni della formazione, quelli del coraggio/necessità di lasciare la sua terra, quel del nomadismo puro, alla ricerca della sua voce interiore, alla ricerca dell’essenza. Un’intervista da non perdere.

Ciao Marialuisa, intanto dicci subito dove ti trovi in questo momento.

Sono a Vancouver. Sono arrivata in Canada lo scorso 29 maggio. Sono stata invitata a suonare in diversi festival importanti della scena avant-garde: a Montreal, lo scorso 12 giugno, poi al festival jazz di Vancouver, sino al prossimo 29 giugno, l’1 luglio sarò al festival di Smithers, nella British Columbia, cioè sempre nella provincia di Vancouver.

Vancouver

E come hai fatto ad arrivare così lontano?

Sono qui, perché da due anni sono nomade, dopo aver vissuto ad Amburgo e Berlino. In breve: nel 2012, finito il Conservatorio a Bari e il biennio di specializzazione in musica jazz a Monopoli, per una disciplina sperimentale denominata “nuovi linguaggi e tecnologie musicali”, ho vinto una borsa di studio per andare a lavorare in Germania, ad Amburgo, presso il teatro Kampnagel, con una compagnia di music theater; in seguito, sono fuggita da Amburgo e sono andata a Berlino dove mi si è aperto un mondo.

In che senso?

A Berlino ho iniziato davvero a costruire tutto il mio percorso di ricerca nel campo sonoro. Dico di ricerca perché, anche se ho studiato musica jazz in conservatorio a Bari e poi musica più sperimentale a Monopoli, da quando sono andata a Berlino mi sono concentrata molto di più sulla sperimentazione, sul campo di ricerca sonoro. Intendo: più sul suono che sulla musica in genere. Ecco, sono più interessata alla ricerca tra antropologia, suono, sociologia. Mi interessa di più la relazione tra vita e suono, tra arte e vita. Su questo mi sono concentrata.

E perché hai lasciato una città che ti ha così tanto affascinata?

Due anni fa ho lasciato Berlino perché ero stanca di avere una base e perché ero alla ricerca di altro. Ho così deciso di iniziare a viaggiare e di spostarmi per cercare il mio equilibrio. Devo dire che da quando sono in viaggio sto molto meglio. Viaggio da sola, e sono io la manager di me stessa. Da sola contatto dei festival o dei musicisti con i quali ho lavorato a Berlino – città che rimane per me un posto strategico in cui ho conosciuto un sacco di musicisti da tutto il mondo e mi ha permesso di costruire una rete di contatti che mi permette di viaggiare ovunque e lavorare con le persone con cui mi interessa farlo. È successo che due anni fa ho avuto una crisi esistenziale e ho deciso di partire. La prima tappa è stata Stoccolma dove ero ospite nel centro EMS di musica elettroacustica. Da lì è iniziato un viaggio bellissimo.

Un'altra veduta di Vancouver

Da come ne parli, sembra che siano tutte “rose e fiori”…

Non ti nascondo che non mancano i momenti tristi, i momenti in cui mi chiedo se tutto quello che sto facendo abbia un senso. Però, per fortuna, ci sono altri momenti in cui so che tutto questo un senso ce l’ha. Sono i momenti in cui ho grandi soddisfazioni come qui in Canada dove sono molto apprezzata.

Bene, allora raccontaci un po’ di più di quello che stai facendo ora in Canada.

Come dicevo, lunedì 12, ho cantato al festival di Montreal, che si chiama “Suoni per il popolo”: ha un nome italiano perché organizzato da un italiano che è venuto qui in Canada tanti anni fa. Io ho suonato alla “Casa del popolo”, per un progetto in duo, che comprendeva improvvisazione, composizione istantanea, e la composizione premeditata. Siamo io e Ben Brown, che è il musicista di Vancouver con cui collaboro, abbiamo scritto delle canzoni a febbraio. Ci siamo incontrati a Berlino, dove siamo stati per una settimana in una galleria a creare delle composizioni molto particolari con una forma piuttosto aperta tra la canzone e l’improvvisazione. Tra l’altro è stato molto particolare il modo con cui le abbiamo composte perché la gente veniva a trovarci in galleria e noi chiedevamo a tutti di lasciare delle frasi, delle parole sulle pareti della galleria e da lì poi ho scritto dei testi e delle musiche con Ben, che è un batterista. Questo progetto si chiama Pinkno Hana, che in giapponese significa “Fiori rosa”. Ed è per me una visione. Un’idea che io racconto sempre alla gente, che viene ad ascoltarci, è che noi mentre suoniamo siamo attorno ad un ciliegio ed è un momento di contemplazione in cui tutto può succedere.

Marialuisa e Ben Brown

Sì, ma ancora non ho capito come tu sia riuscita ad affermarti così lontano da casa…

È buffo dirlo, ma sono riuscita a venire qui in Canada grazie ad una persona che ho conosciuto ad una commemorazione funebre; è noto che nella musica sperimentale non ci sono molti soldi come invece nella musica commerciale: o perlomeno non per me che sono italiana e non sono una persona conosciuta in Italia o in Puglia; non essendoci tanti soldi, non è facile poter viaggiare così lontano. È successo che a fine maggio dello scorso anno ho cantato, su invito di un amico, all’anniversario della morte di un ragazzo di Canosa di Puglia. Da lì, Cosma, la sorella del ragazzo scomparso ormai da due anni, si è innamorata della mia voce. Il bello è che lei, lavorando come hostess per Alitalia, mi ha detto che voleva farmi un regalo speciale: un biglietto per qualsiasi destinazione al mondo. All’inizio, ho rifiutato. Però, dopo qualche mese, quando mi si è presentata l’opportunità di venire in Canada, l’ho richiamata: ed eccomi qui.

Marialuisa Capurso in concerto

E ora che ci sei, quali saranno le tue prossime tappe?

Sinora la nostra tournée ha già visto ben 6 concerti e ne vedrà altri 16. Ora suoneremo quasi tutti i giorni a Vancouver, il 29 si suona per il Festival Jazz di Vancouver, e il 30 giugno si parte per la foresta, dove parteciperemo al Midsummer festival. Di lì, si riparte per Boston dove canterò con Pat Battstone, un pianista originario proprio di Boston. Avremo una serie di concerti. Poi andremo a New York… e poi torno in Italia!

L’avevi detto: una vita da nomade. Prima di lasciarci, ti chiedo di consegnarci il tuo segreto: dove trovi tanta forza, cos’è che ti sospinge?

Una sola cosa sento ancora di dire. Sono qui spinta dalla voglia di cercare altro. Questo viaggio fa parte di questa mia ricerca verso l’essenza. Sono stati anni particolari, gli ultimi due che ho vissuto, in cui mi sono chiesta quale fosse la mia urgenza, cosa volessi e cosa cercassi, cosa avessi voglia di dire con la musica. E mi sono resa conto che nel mio percorso, in realtà, la cosa che più mi interessa è andare all’essenza, cercando la mia voce interiore, cercando il contatto con me stessa e con ciò che faccio. La condizione del viaggio è meravigliosa, parlo con l’universo e gli sono grata perchè mi permette di fare incontri essenziali nel mio cammino. Ringrazio Dario e Cosma Monterisi per avermi dato la possibilità di continuare a viaggiare.

La strada nel bosco: il Pacific Spirit Park di Vancouver...

 

 


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...