Dedicato a chi non crede nell’Europa dell’istruzione, degli scambi interculturali, della solidarietà attiva

10 Dicembre 2017

Ore 4:38

Non mi è mancata l’insonnia, non mi è mancata proprio per niente. È tornata a trovarmi due settimane fa e sembra non volermi più lasciare. L’ultima volta mi aveva tormentata pesantemente una settimana prima della partenza per Cambridge, ma non era stato male. Impiegavo le notti a pianificare la mia nuova vita, a immaginare ogni dettaglio dell’esperienza che da anni avevo desiderato intraprendere, un term di A level in un liceo inglese.

Il canto dell’upupa proveniente dal giardino faceva da sottofondo alle mie preoccupazioni. E se a scuola all’inizio non capisco nulla? E se non mi abituo al freddo e al cielo grigio? E se non trovo amici simpatici? E se non imparo a cucinare? E se mi perdo? E se mi ammalo? E se mi mancano mamma e papà? E se non sono abbastanza forte? Mi ronzavano nella mente per minuti, ore, per poi essere sopraffatte dalla voglia di trovare delle risposte. E dopo minuti o ore che fossero mi convincevo a dormire, che il tempo così sarebbe passato più in fretta e sarei salita su quell’aereo prima del previsto.

Ora no.

Non ho più domande da farmi, lancette da far scorrere, persone da immaginare. Non ho più un motivo per evitare di non dormire. L’appuntamento è ogni notte, stesso posto, stessa ora, i ricordi, l’insonnia ed io. Perché è così che va, ti svegli una mattina ed è il primo di dicembre, e dicembre vuol dire che tutto sta per finire. Voglio spendere ogni secondo rimasto ad amare l’Inghilterra, e allora di notte non dormo più perché così la vivo, anche solo pensandola, già rimpiangendola, e la amo, la amo sempre di più.

 11 Dicembre 2017

Ore 2:03

Non riesco a crederci, ora, è il mio ultimo Monday a Cambridge.

Tra cinque ore e trentadue minuti suonerà una delle ultime cinque sveglie della settimana. Scosterò le tende e fuori sarà ancora buio, forse con un accenno d’alba. Osserverò una signora che ogni mattina raccoglie e getta via le foglie, facendo risuonare il rumore dei suoi tacchetti per tutto il cortile. Darò uno sguardo al cielo per vedere che tempo fa. Risponderò a James, il mio houseparent, che busserà deciso alla mia porta con un greve ‘Goodmorning, Linda’. Metterò su una felpa e andrò in cucina, imprecherò per via del freddo e mi preparerò la colazione con del jazz in sottofondo.

Ultime cinque bustine di oatmeal, non mi serve comprarne altre. Mi laverò e mi vestirò, prenderò zaino, cappello, guanti e sciarpa e mi incamminerò verso la scuola: M.P.W. – Mander Portman Woodward, un tipico edificio vittoriano all’inizio della zona residenziale di Cambridge. Fino a qualche giorno fa ci andavo con la mia bici, Terminator, ma a dicembre il vento gelido sul viso comincia a risultare decisamente spiacevole.

Osserverò i passanti, ascoltando della buona musica. Molti li guarderò negli occhi. Incontrerò una bambina bionda con un piumino cobalto e un vecchietto che mi sorriderà, imbarazzandomi. A scuola sarà una giornata stancante, ma piacevole. Ne uscirò alle 18 e andrò a casa, poi in palestra, poi al supermercato. Cenerò con le mie amiche, scherzeremo, balleremo e forse guarderemo un bel film. Non parleranno del ritorno, sanno che mi inquieta parecchio. Chissà se domani dormirò. So per certo, però, che sarò felice.

12 Dicembre 2017

Ore 21:03

Il martedì è il mio giorno preferito. Il mio orario scolastico prevede una sola lezione, da mezzogiorno alle due. Svegliarmi con la consapevolezza di avere tutto il tempo necessario per prepararmi e andare a scuola mi rilassa. D’altra parte cerco sempre di rendere le mie mattine produttive, in modo da minimizzare la costante sensazione di essere una ‘couch potato’ che spesso mi accompagna durante l’inverno italiano.

Un sole splendente come quello di oggi in Inghilterra si traduce in due conseguenze: ‘sarà una giornata apprezzabile’, ‘sarà una giornata gelida’. Le solite nuvole, per quanto detestabili, rendono le temperature leggermente più miti.

Ho sfrecciato su Terminator per l’ultima volta sulla via del negozio di biciclette in East Road, cercando di non farmi impressionare dalla brina sull’asfalto e dall’espandersi del colorito violaceo sulle mie mani. Ci sono entrata con Terminator, il lucchetto e cinque pounds. Dopo dieci minuti, assieme al lucchetto e cinquantacinque pounds, mi sono diretta verso la scuola, già nostalgica di quella bici antracite che definivo ‘vintage’, per descrivere elegantemente il suo aspetto decisamente dismesso. Amavo uscirci nelle domeniche di Ottobre per vagare senza meta nelle strade strette e a senso unico di Cambridge, dove potevo permettere alle meravigliose facciate monumentali dei colleges di distogliere la mia attenzione dalla strada, senza probabilità di essere travolta da un bus o da altri imprudenti ciclisti. Amavo usarla quando ero di fretta, e accelerare, accelerare, talvolta ignorando i semafori rossi e i ‘Watch out!’ dei pedoni. Amavo andarci in gruppo con i miei amici, ci faceva sentire dei perfetti studenti inglesi. Mi mancheranno, mi mancherà Terminator.

Mentre ci penso guardo la data sul telefono. Quattro giorni alla fine.

15 Dicembre 2017

Ore 00:27

Sono stati due giorni molto intensi. Non un’ora persa, non un minuto da rimpiangere. Ho cercato di trascorrerli il più possibile in compagnia. Ho ancora poche ore per riempirmi l’anima con le risate e l’affetto dei miei amici internazionali.

Oggi è stata la volta dei primi addii, in quanto alcuni di loro, per compatibilità con i voli di ritorno, hanno deciso di saltare l’ultimo giorno di scuola. Non è stato facile salutarli evitando di scoppiare in lacrime. Mi ripeto che è troppo presto, che potrò sentirmi legittimata a mostrami triste solo quando saranno giunti gli ultimissimi minuti.

Stasera il conto alla rovescia segnava meno due. Ho deciso di rompere le regole di Tripos Court, la mia accommodation, ed evadere al piano di sopra dopo il coprifuoco (ore 22,00 inglesi), guadagnando una serata di puro divertimento tra Francia, Russia, Italia, Taiwan e Finlandia. Uno dei miei amici si è offerto di ospitarci nella sua casa a Bangkok l’estate prossima, così abbiamo trascorso il tempo a sbirciare i prezzi dei voli e fantasticare su quanto ci divertiremo insieme.

A scuola ho salutato il mio professore di inglese, Dean. Le sue lezioni sono sempre state le mie preferite. Dean, alto, robusto e sorridente, è l’insegnante più logorroico che abbia mai conosciuto. In classe le interruzioni erano piuttosto frequenti. Spesso il solo leggere delle frasi di grammatica sul libro di inglese lo portava a digressioni di trenta minuti nelle quali ci raccontava della sua vita, della sua regione, il Galles, di sua moglie, dei suoi viaggi passati e di quelli futuri. Credo che i suoi strambi racconti mi abbiano insegnato molto di più delle schede di vocabulary che ho dovuto imparare. Oggi si è rivelato ancora più amichevole di quanto pensassimo, portandoci uno zaino trasbordante di dolci di natale, che abbiamo mangiucchiato ininterrottamente per un’ora e mezza. Domani sarà tempo di controllare i risultati del mio esame di inglese, che ho sostenuto due settimane fa; spero di aver ottenuto un punteggio alto così da poter vedere Dean sorridere e sentirsi un bravo prof, perché lo merita. Dato il suo amore incondizionato per l’Italia e il suo cibo, gli ho regalato una bottiglia di olio EVO di produzione familiare prima di lasciarlo. Ne è stato molto felice.

Il mio prof di filosofia, commentando il mio ultimo Time Assignment – il compito in classe – ha scritto: “Linda’s presence in class has benefitted everyone and really is a shame to see her depart”. Ho tenuto banco, da brava italiana, nelle aree di filosofia e nelle riunioni settimanali del Club dell’etica. Bye bye anche a te, Mr. Toby Taylor.

Tra sette ore e otto minuti suonerà la sveglia e mi preparerò per l’ultima lezione di biologia. In attesa dell’ultima friday night, che cercherò di rendere indimenticabile, è ora di preparare le valigie. L’idea mi fa rabbrividire, mi guardo intorno e non riesco a immaginare alcun metodo efficace per far entrare tutto ciò che mi circonda nei miei bagagli. Sono ben quattro, ma ho il presentimento che si riveleranno insufficienti.

16 Dicembre 2017

Ore 11:19

Il countdown segna zero. Non virgola uno, due, tre. È proprio uno zero. Oggi, cara me, si torna a casa.

Ieri, gli ultimi saluti ai miei compagni di avventura si sono tradotti in cascate di lacrime e mascara, tante promesse e tanti ‘ti voglio bene’. Certe parole hanno un peso diverso quando le senti arrivare dal cuore.

L’angoscia non è l’unico fattore a rendere questa giornata spiacevole. Sono in piedi dalle cinque, con tre ore di sonno. Ho trascorso le due successive a tentare di svegliare il più buffo e disorganizzato dei miei compagni, che avrebbe dovuto prendere il treno per l’aeroporto alle sei e mezza. I miei sforzi sono stati vani e Federico, non sorprendentemente, ha perso il suo volo. Ne prenderà un altro stasera.

Svuotare la mia stanza di soli 9 mq. (bagno compreso) da tutte le cianfrusaglie di cui l’avevo riempita si è rivelato più arduo di quanto mi aspettassi. Sebbene ieri fossi riuscita a far entrare quasi tutti i miei vestiti in due delle quattro valigie, non mi ero resa conto che erano gli oggetti rimanenti a occupare lo spazio maggiore. Alcuni ho dovuto lasciarli lì, mi sarebbe proprio servito un camion di traslochi per poterli portare tutti via. Faccio su e giù per i piani del mio block, distribuendo le rimanenze delle provviste di cibo ai miei amici, salutandone altri che hanno il volo tra un’ora, due, tre per la Thailandia, la Francia, l’Uzbekistan. Ho lo stomaco troppo vuoto e le gambe troppo stanche, ma sono consapevole di non potermene lamentare, oggi. A proposito, è ora di sopravvivere al controllo finale della stanza, ora vuota e angosciosamente anonima, e sperare che il tassista mi aiuti con i miei ottanta chili di bagaglio da portare a casa.

A casa, a dire il vero, ci ero già.


1 COMMENTO

  1. Casa è là dove riposa il cuore!
    Molto bella questa esperienza
    Le stesse emozioni che provai quando lasciai i miei colleghi a Tours
    Grande!

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