
È uscito da poco in dvd l’ultimo film di Woody Allen “La ruota della fortuna”. Nei cinema era a dicembre 2017.
È scritto e diretto lui, pare sia l’unico di cui si fida! Sconcerta un tantino il poco rispetto che la sceneggiatura riserva agli attori e l’uso del personaggio narrante, una costante di Allen, affidato a chi non ti aspetti sia anche un attore: Justin Timberlake.
Tuttavia non potrebbe definirsi “film” senza Kate Winslet e Jim Belushi che in stile teatrale si scambiano battute e bravura. Persiste il rituale, caro ad Allen, misto di paranoia e riassunti di filosofia.
La storia è contorta ma prevedibile, temo sia possibile distrarsi per guardare se nel bicchiere ci sono ancora pop corn: un uomo e una donna, lei ex attrice poco intelligente e volubile, lui ex ubriacone ma brav’uomo, si incontrano ognuno con i propri problemi e si leccano, sopportandosi perché non hanno altro, le ferite di un passato impietoso. Lei poverina, divorziata mai rassegnata, serve molluschi in una bettola e lui, vedovo, è il custode di una giostra nel luna park cittadino: per chi non l’avesse capito è una metafora del bene quanto la vita quotidiana di un male presunto.
Entra in scena, annunciato, il tradimento: la Winslet si invaghisce del presunto aspirante drammaturgo Timberlake che lavora come bagnino. Il loro incontro e la loro storia d’amore è una piccola comica soap opera.
Improvvisamente entra in scena la figlia di Belushi, Carolina, l’attrice Juno Temple e tutto si complica perché si invaghisce anche lei di Timberlake. Tragedia.
Lo sfarzo scenografico è notevole, i particolari di una piccola città della provincia americana bigotta e chiacchierona: un tale spreco per un film che poteva essere riposto dentro le mura domestiche per la ingenuità narrativa che lo caratterizza.
Allen non ha più nulla da raccontare da già un bel po’ ma qualcuno, nella speranza di spillare soldi agli spettatori nostalgici delle battute intelligenti, continua a produrlo.
Il cinema americano è triste perché sopravvive aggrappandosi alla fama passata ma ancora potente perché offre la possibilità di realizzare i sogni di pochi esordienti talentuosi che nulla hanno da spartire con la consuetudine dello splatter gratuito.
Ci sono perle registiche, poche, una su tutte è il primo piano della Winslet con il viso illuminato dal sole al tramonto: gli occhi verdi e lo sguardo perso, impaurito.
La bellezza può distrarre e nascondersi, ma il film di Allen è un’opera egoistica e narcisistica, immatura e incompleta: crea e distrugge, abbandona i suoi attori nel finale con una dissolvenza che tutto sembra tranne che cinema d’autore.