
Il Natale, forse per molti, non è più una notizia: è una ricorrenza. Una cosa risaputa che a un certo punto deve arrivare e arriva. Porta con sé un corredo di mille cose e contorni anch’essi più o meno risaputi come in una noiosa liturgia celebrata fuori dal tempo in cui tutto il rituale si esaurisce in una ripetitività di espressioni senza più senso.
Sembra che viviamo nei luoghi e nei tempi della “non vita”, in una realtà sentimentale e furba che, dietro i suoni di penosi e sdolcinati carillon, usa le note di “Bianco Natale” o di “Tu scendi dalle stelle” per vendere e farci comprare merce in abbondanza giustificata da false necessità.
Viviamo purtroppo sotto un regime retto della “consumocrazia”; si sta perdendo di vista quella straordinaria occasione di riflessione profonda e sincera, di cui, forse, si avrebbe bisogno per non perdersi definitivamente dietro i Babbo Natale da appendere ai balconi o sentirsi un po’ commossi, a mezzanotte, guardando i nostri bambini che credono ancora alla favola, mentre noi adulti conosciamo purtroppo la realtà.
Lo scambiarci poi gli auguri natalizi, chiarire che non si tratta di un atto formale che ci costringe a fare quello che non sentiamo, diventa un problema di credibilità personale. Per rendere attendibile questo conviene mandare all’aria sovrastrutture e incappucciamenti, ipocrisie e dissimulazioni, travestimenti e doppiezze, per fermarci… sostare in silenzio lasciando che gli affanni vadano alla deriva, consentendo alla calma rupestre del primo presepe di impossessarsi della nostra interiorità.
Non occorre fare salti all’indietro, né recuperare un artificioso tempo che non c’è più. Forse sarebbe il caso di prendere il coraggio tra le mani e, per un po’ di tempo, restare soli con se stessi. Cercarsi una stanza, oppure una strada silenziosa o una chiesa solitaria in cui poter stare a tu per tu con se stessi, senza aspettarsi un’esperienza strana. Forse si potrebbe provare una strana impressione; forse si potrebbe prendere coscienza di quanto siano lontane da noi le tante persone che frequentiamo ogni giorno e che ci sono care; forse potremmo sperimentare come tutto ciò che si affaccia in quel silenzio è avvolto da una strana lontananza, come pervaso da qualche cosa che sembra vuoto.
Se si riuscisse a rimanere raccolti in se stessi e lasciare che il silenzio ci parlasse, questa calma potrà farci percepire il lontano infinito come vicino. Ma è proprio in questa immensità che noi impariamo a conoscerci, a sperimentare e ad accettarne la dolcezza della pace, la profondità di una rinascita, il divino che è ritornato a dimorare in noi, … il Natale quale risultato di quel qualitativamente vissuto e non una dolce leggenda da raccontare ai bambini.