
C’è differenza se a parlare di Auschwitz è Liliana Segre o sono io, un’abissale, incolmabile, imbarazzante differenza
Quando si sceglie un computer, bisogna considerare la potenza della sua memoria RAM, ossia di quel sistema deputato a contenere dati di vario genere. Spesso, però, la lentezza della macchina segnala che la memoria è “sovraccarica” e che occorre pulire gli archivi informatici, oppure ricorrere a dispositivi esterni di archiviazione.
La possibilità di contenere mondi sconfinati entro marchingegni ridottissimi è strabiliante: nei nostri PC, USB e smart-phone c’è un mondo che non possiamo permetterci di perdere. In questo 27 gennaio, però, qualcosa mi fa riflettere: si tratta della qualità di questa memoria artificiale rispetto alla Memoria che, nella giornata di oggi, è un dovere, un diritto, un dono, un privilegio, una prospettiva cui solo la memoria del cervello umano può far fronte come si deve.
Sì, perché la memoria artificiale si limita a contenere dati secondo un carattere puramente riproduttivo; la memoria del cervello, invece, crea e ricrea continuamente il suo materiale. I nostri ricordi non sono copie esatte delle cose che ci sono capitate: sono la risultante di un lavoro cui convergono sensazioni fisiche, gesti d’amore ricevuti, mancanze, legami, privazioni, altri ricordi. Tutto questo (e molto altro) fissa il ricordo nella misura in cui lo marca, connotandolo di sfumature particolari, magari note solo a noi. E le nuove esperienze li modificano e li reinterpretano. Non è forse un dato di fatto che il modo in cui raccontiamo noi stessi è una narrazione sempre nuova?
Ma allora dov’è la verità, se ognuno può creare e ricreare le cose a suo piacimento? Il problema, a mio avviso, non è questo; le neuroscienze non ci dicono che i nostri ricordi sono fasulli! Al contrario: sono autentici perché sono pieni di una vita irripetibile eppure piena di significati sempre possibili, per ricominciare sempre e non restare ingabbiati nel passato. Un miracolo, che rende la memoria umana molto più affidabile della nostra fissazione smodata per la coerenza.
Dev’essere terribile per un sopravvissuto alla Shoah convivere ogni giorno con i ricordi di una crudeltà simile. Riannodare i fili della vita dopo Auschwitz, elaborarne i ricordi…non riesco ad immaginare nulla di più duro, soprattutto dopo aver camminato tra le baracche e i fili spinati del campo nazista tedesco.
La Memoria di ogni Olocausto, di ieri e di oggi, voluto dalla follia che diventa riforma di stato, chiede alla nostra memoria di prolungare, di estendere quella dei testimoni, come e molto di più di un dispositivo di archiviazione di massa. Significa, in altre parole, che siamo chiamati a farci carico delle loro storie, ad adottare i loro ricordi per immetterli nei nostri circoli esperienziali, per connetterli con le nostre emozioni e permettere a queste di marcarli, di fissarli in noi, perché siano nostri e perché, attraverso le nostre ri-creazioni, possano continuare a vivere e a dare speranza.
C’è differenza se a parlare di Auschwitz è Liliana Segre o sono io, un’abissale, incolmabile, imbarazzante differenza. Eppure io, tu, noi abbiamo il dovere di mettere la nostra memoria, preservata dall’esperienza diretta di simili barbarie, a servizio della Memoria. Quella che certi soldati tedeschi provarono a cancellare, bruciando le foto, gli schedari e gli archivi della vergogna, senza sapere che, se certi dati possono essere formattati dalla storia, ve ne sono altri che restano sulle cose come sigilli.
A noi l’onore e l’onere di aprirli, affinché i non-luoghi della violenza del passato diventino spazi nei quali è ancora possibile sperare, soprattutto per le vittime dei non-luoghi delle barbarie del presente, che da noi attendono il futuro.
Come sempre le tue parole fanno riflettere:ora più che mai… Nell’era dei social! Complimenti! L