
«La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori»
(Alda Merini)
Di recente mi sono arreso a quella che esegeti e filologi chiamano “tradizione orale”, la stessa che ha dato origine a tutte le letterature: da quelle preclassiche fino alle più moderne. Nel mio caso, si tratta di qualcosa di meno aulico. Non riesco a leggere tutti i libri che vorrei e, consapevole che gli anni davanti a me sono meno di quelli già vissuti, ho dovuto arrendermi all’evidenza: devo affrettarmi, se non voglio finire nella tomba “nudo” di tutte quelle parole che avrei voluto scoprire e non ho ancora letto.
È così che mi sono avvicinato ad una delle app più quotate per audiolibri. Non nascondo la mia iniziale diffidenza, ma resta il fatto che, in meno di tre settimane, ho “ascoltato” — non posso dire “letto” — ben sei libri, di cui due in inglese. Ora sto per terminare il settimo.
No, non è che io sia particolarmente rapido: è che posso sfruttare i tempi “morti”. Guido per molte ore a settimana e, come alcuni sapranno già, ho la passione della corsa. Sono momenti perfetti per ascoltare, riscoprendo, con meraviglia, il piacere bambino di una voce che ti racconta una storia.
E qui si offre una prima riflessione: non credo sia un caso se la parola scritta è stata preceduta da quella orale. Il nostro primo modo di comunicare è la voce: emessa, ascoltata, accolta, tramandata. Un processo che rivela quanto sia importante non solo ascoltare, ma anche parlarsi e parlare. Perché le parole non dette rischiano di non essere mai comprese. Perché, finché una parola resta non detta, magari muore la comunicazione. E perché parlare e ascoltare è un atto circolare d’amore.
La seconda riflessione nasce da Succede sempre qualcosa di meraviglioso, di Gianluca Gotto, uno dei sette libri scoperti in questi giorni e che da diverso tempo è in cima alle classifiche. Il protagonista, Davide, incontra Guilly, un personaggio fuori dal tempo che gli offre una visione luminosa dell’esistenza. Non potendo prendere appunti mentre guidavo, parafraso le sue parole così come le ricordo, proprio come accadeva nella tradizione orale che ha visto nascere l’Iliade e l’Odissea. Ma è possibile anche che io ricordi il testo in maniera fedele e letterale. Non saprei.
Sia come sia, a Davide, insicuro, riluttante, scettico, spento e razionalista, maniaco del controllo, Guilly obietta: succede sempre così, quando qualcuno fa qualcosa col cuore, si smette di credergli e gli si dà del pazzo.
Vi ho visto, riassunte in un rigo, le vite di tutti quelli che “ci hanno creduto” e hanno provato a lasciare il mondo un po’ meglio di come l’hanno trovato. Non penso solo a Gandhi, Luther King, Mandela o Madre Teresa di Calcutta, tanto per fare i soliti nomi altisonanti. Penso soprattutto ai tanti “illuminati anonimi” che fanno luce con discrezione, che ogni giorno portano avanti il loro cerino, con l’unica ambizione di accendere almeno una candela.
Il cerino si spegnerà e la candela, una volta accesa, si consumerà. Ma almeno ci sarà un po’ di luce.
Ditelo a quelli che amano tramare nel buio: a chi firma missili destinati a piovere su Gaza, uccidendo a sangue freddo bambini innocenti. Lo fa con la scusa di difendersi dall’antisemitismo, bombardandoci con una menzogna a cui non crede lui per primo.
C’è però un altro dei libri ascoltati in questi giorni che vorrei citare in chiusura, tanto per contraddirmi, proprio come si conviene a uno che, ormai si sa, un po’ folle si ritiene davvero. Questa volta le citazioni, pur saltando qualche riga, sono letterali: mi sono impegnato per fissarle sulla carta.
Ti parla Siddhartha, di Hermann Hesse:
«La saggezza non è comunicabile, la saggezza che un sapiente tenta di comunicare ad altri ha sempre un suono di pazzia.
Non scherzo. Dico quel che ho trovato: la scienza si può comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, si può viverla, si può farsene portare, si possono fare miracoli con essa, ma dirla e insegnarla non si può…
Ho trovato un pensiero, Govinda, che tu riterrai di nuovo uno scherzo, una pazzia, ma che è il migliore di tutti i miei pensieri. Ed è questo: d’ogni verità anche il contrario è vero. In altri termini, una verità si lascia enunciare e tradurre in parole soltanto quando è unilaterale e unilaterale è tutto ciò che può essere concepito in pensieri ed espresso in parole: tutto unilaterale, tutto dimidiato, tutto privo di totalità, di sfericità, di unità.
…Ma il mondo in sé, ciò che esiste intorno a noi e in noi, non è mai unilaterale, mai un uomo o un atto è tutto Samsara o tutto Nirvana, mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore. Sembra così, perché noi siamo soggetti all’illusione che il tempo sia qualcosa di reale. Il tempo non è reale, Govinda, questo io l’ho appreso ripetutamente…
Ma non farmi più dire altro di ciò, le parole non rendono un buon servigio al significato segreto. Tutto risulta sempre un po’ diverso quando lo si esprime a parole, un po’ falsato, un po’ folle, sì: e anche questo è assai bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è tesoro e saggezza di un uomo suoni sempre un po’ folle alle orecchie altrui».




























Un po’ di fantasia
Grazie mille
Yuleisy