
Il contributo di Cosimo Caputo
Pur in presenza delle nuove e sempre più sofisticate tecnologie, frutto della cosiddetta ‘scienza simulante’ dei sistemi computazionali per l’utilizzo massiccio dei big data, che si rivela comunque essere indispensabile in ogni contesto, rimane sempre aperto e centrale il problema concernente il rapporto di chi le usa con qualcuno che ne orienti il percorso; e dato che il continuo uso non è esente da diverse insidie di vario tipo soprattutto per chi si sta formando, diventa impellente la necessità di trovare una figura con cui dialogare attraverso un confronto critico, a volte anche aspro, in quanto si ha a che fare inevitabilmente con un altro animo di una generazione non congruente con la propria. Ritorna così in tutta la sua pregnanza il bisogno di stabilire un contatto con qualcuno che si erge come un ‘maestro’, anche se nella situazione odierna tale fatto può sembrare obsoleto e anacronistico; ma lo richiedono le inedite sfide di diverso tipo a cui si va incontro, molte delle quali si concentrano su come ‘governare l’età della tecnica’ col ridare alla formazione un ‘ruolo chiave’, come scrivono due pedagogisti di lungo corso come Franco Cambi e Franca Pinto Minerva in Governare la tecnica. Il ruolo chiave della formazione (Milano-Udine, Mimesis, 2023). E così si è quasi obbligati a farlo e, come diceva Ludovico Geymonat in un’opera del 1945 dal titolo Saggi per un nuovo razionalismo, si arriva a sceglierlo ‘per devozione’ in quanto tale confronto è in grado di portare ad ‘un approfondimento di sé, del proprio animo per superare la propria limitatezza’. Si possono scegliere anche figure del passato interrogandole nelle diverse pieghe, frutto a dirla con Robert Musil del ‘sale della terra’; e così il maestro, ‘anche se morto’, rimane ‘una persona viva’ con cui si mette in atto un continuo processo che porta ad irrobustire le proprie difese razionali e ad allargare le visuali con cui guardare a ciò che ci circonda, oggi obiettivo primario di ogni nuova Paideia che, ispirata al pensiero complesso, ‘contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa’, come ha scritto recentemente Mauro Ceruti.
Basta entrare per equipaggiarsi nella vasta letteratura del pensiero, da quello artistico a quello filosofico-scientifico sia del passato che dell’oggi, per trovarvi un pieno di maestri con i quali si intraprende un viaggio che dura tutta una vita e che non si limita solo al campo delle idee pur col loro intrinseco portato di esperienze di vita; e tutto questo risponde in primis all’esigenza di cogliere le nostre diverse dimensioni a partire dallo “stare al mondo” e, in particolar modo, dallo “stare nel significato” in modo strutturale.
A tale non facile obiettivo mirano le ultime fatiche di Cosimo Caputo, Con Hjelmslev. Filosofia e semiotica dellinguaggio, Semiotica italiana. De Mauro, Garroni, Rossi-Landi del 2023 e Nel segno. Percorsi di semiotica generale del 2022, apparse in una significativa collana dal titolo ‘Il Segno e i suoi Maestri’ (Lecce, Pensa MultiMedia). Il percorso messo in atto è, infatti, frutto di un quarantennale stare con Hjelmslev, vero e proprio ‘maestro del segno’, e con coloro che si sono abbeverati alla sua fonte sviscerandone inedite articolazioni tese a chiarire “quel meta-oggetto che è la semiotica del linguaggio”. E tale approccio è stato possibile in quanto lo sguardo è stato allargato al confronto (lavorando con) con altre figure che hanno arricchito di ulteriori prospettive la scienza del linguaggio, da Cassirer, Bachelard, Bachtin, Sebeok, Peirce, Coseriu agli italiani De Mauro, Rossi-Landi, Prodi e Fabbri. Nel loro insieme queste diverse figure vengono a loro volta considerate altri maestri per aver concentrato i loro sforzi sulla complessità del lógos semantikós, ritenuto espressione dei tentativi da parte dell’uomo di capirsi come “un essere per il quale tutto può significare” e dotato di capacità di “guardare oltre”, oltre sé stesso”.
Interrogato a fondo, fin nelle pieghe più nascoste della sua opera, Hjelmslev è diventato un prezioso maestro, permettendogli di diventare oggi una “guida che segue da lontano”. Come ogni maestro il linguista danese ha insegnato “quel che ‘ancora non sapeva”, come afferma lo stesso Cosimo Caputo in un altro precedente lavoro Tra Sausssure e Hjelmslev. Ricerche di semiotica glossematica (Roma, Carocci, 2015). Pensando con Hjelmslev, si perviene a prendere atto della ristrettezza della lettura “vulgata” del suo Strutturalismo, o meglio della teoria del linguaggio conosciuta come Glossematica e ritenuta una teoria algida, incurante dell’indeterminatezza del linguaggio, incurante, in breve, del senso.
Su queste basi Caputo pone “la domanda sul senso”, che è la domanda filosofica sulla scienza dei segni, e chiama in causa i più recenti risultati della biosemiotica, sviluppatasi mettendo a tema proprio la forte “pulsione verso il senso” che emerge “nel mondo della vita”, e che funziona come una ‘energia infinita’, simile a quella che ha portato allo sviluppo e alla riproduzione della vita, come ci viene spiegato in un recente lavoro di Angelo Vianello e Marco Zancani In principio era l’energia (Milano, Meltemi, 2024). Porsi la domanda di senso, pertanto, diventa uno strumento per dare conto dell’uomo come unico animale semiotico; e, per Cosimo Caputo, essa non si limita ad essere un urlo alla Munch o un grido, ma si tramuta in un percorso razionale che fa del “dialogo” lo strumento indispensabile per aprire ulteriori varchi cognitivo-esistenziali e avanzare “nuove prospettive” per l’uomo che, ricco di un non comune bagaglio ingarbugliato, per parafrasare una nota espressione di Pascal, riesce a farne un pieno di emergenze, come ci insegna il pensiero complesso.
Un primo esito che emerge è quello, strategico sul piano delle idee, di “riconcepire la semiotica generale” che ha ‘come scopo quello di definire la semiosi’, la ‘forma del senso’ nella sua globalità, il suo “come” o ‘il senso del senso’, anche sulla scia dei fondamentali lavori di Umberto Eco, Algirdas J. Greimas, Tullio De Mauro. Sotto ‘il segno di Hjelmslev’ non ci si limita ai suoi aspetti superficiali, ma si va a cercare l’essenza della sua ricerca, come ci insegnano i veri ‘maestri’ ed in particolar modo i cosiddetti ‘maestri del sospetto’ come Marx, Nietzsche e Freud, altrimenti la scienza ed il pensiero sarebbero imprese vane.
Un apporto molto importante del linguista danese, finora trascurato dalla maggior parte dei suoi lettori, sul quale Caputo insiste molto, è quello della sublogica del linguaggio. Un tema, che elaborato negli anni Trenta, scorre come un “fiume carsico” – sostiene Caputo – in tutta l’opera hjelmsleviana ed amplia la prospettiva epistemologica e filosofica sul linguaggio. La teoria del linguaggio, secondo Hjelmslev, deve prendere in considerazione la globalità e complessità del linguaggio; non può limitarsi alla “logica” del linguaggio, al logos apofantico, ma deve farsi carico anche della “prelogica”, del pensiero astratto e formalistico, dei linguaggi limitati della “logica” ma anche del “pensiero naturale”, irriflesso, del sentimento linguistico che caratterizza il linguaggio storico-naturale o le lingue storiche e verbali, che costituisce il logos semantico, di cui il logos apofantico è solo una parte.
La “sublogica del linguaggio” si basa “sul regime delle correlazioni partecipative”, in cui un polo esteso si prolunga in un polo intensificato che connota, marca, delimita l’estensione. Più semplicemente: se il logos semantico è la più naturale ed estesa capacità dell’umano di modellare il mondo (per conoscerlo), il logos apofantico ne è una parte, più specifica, ma che è attraversata dal semantico; non ci sono soltanto linguaggi puri, modellazioni del mondo (forme di sapere, scienze), ma limitati, ci sono soprattutto linguaggi impuri e illimitati (modellazioni storiche).
Come ogni vero maestro, Hjelmslev, sviluppando i contributi che rendono la semiotica “una scienza empirica” e prendendo in esame le pratiche comunicative, aiuta a prendere atto che la scienza del linguaggio è coinvolta nelle sue stesse “trascendenze”. E non può essere diversamente per uno studioso di lingue storico-naturali e non di lingue logiche. Così il suo discorso di natura epistemica sfocia in un discorso antropologico, come è ormai prassi nel più sano pensiero filosofico-scientifico odierno; sulle tracce del maestro di segni danese, per Cosimo Caputo, guardare alla semiotica vuol dire coglierne “i nessi con altri oggetti”: dalla società, alla tecnologia e alla storia, e si giunge a sostenere che “la ‘teoretica’ diventa ‘teor-etica’, la globalità teoretica diventa “etica della responsabilità”, sino a diventare etica ambientaleche presuppone l’“esperienza grande del mondo” (Bachtin); essa è la base di ogni pratica semiotica che diventa così “un’ecologia semiotica” rendendo “impossibile l’isolamento ecologico” da parte dell’essere umano, reso più cosciente del fatto che è il risultato dello stretto “intreccio” con la natura. Si supera in tal modo la “nota dicotomia cartesiana”.
Così anche la scienza del linguaggio, interrogata grazie gli strumenti concettuali messi in campo da uno dei suoi maestri, aiuta a capire che “l’umano è un centro relativo” con l’essere solo “il nodo di una grande rete, luogo d’intreccio in grado di esserne consapevole e di riconoscerne la dipendenza da altri nodi”; in tal modo il confronto con la figura del maestro, che si rivela tale nella misura in cui ha l’umiltà di insegnare quel che ‘ancora non sa’, diventa sempre più necessario per meglio prendere atto dell’interdipendenza dei problemi e di ogni passo della vita di ognuno e per questo richiede un costante e laborioso processo di autocoscienza dei propri limiti, delle insufficienze delle diverse impalcature concettuali messe in campo. Il rapporto col maestro è un continuo succedersi di continue ‘trascendenze’ nella propria vita, così come quelle vissute da Cosimo Caputo nel suo lungo bagno nella fonte di Siloe che è stato il linguista danese, e di diverse emergenze nel senso avanzato dal pensiero complesso che, pure a loro volta fonte di molteplici tensioni, non assicurano un porto sicuro, ma fanno intravedere inediti orizzonti etico-cognitivi da esplorare per arricchire il nostro ‘stare nel significato’, o nel segno, come nel titolo del primo dei volumi di questa trilogia.