
«There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreamt of in your philosophy.
Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia»
(Shakespeare)
Si può viaggiare per lavoro, per curiosità, per piacere.
C’è chi viaggia per necessità, chi per fuggire la fame e la guerra.
E c’è chi viaggia per fuggire da se stesso, anche se con risultati che definirei incerti: Seneca docet.
A me piace l’idea di chi si sente viaggiatore della vita. Un viaggiatore che ama il cammino in quanto tale, che, ad ogni passo, si concede il lusso di sostare, di ammirare un fiore, una foglia, anche solo una crepa, una fenditura luminosa che racconta il tempo.
È un tipo di viaggiatore che non si lascia sopraffare dalla corsa, che non ha pretese, che ama contemplare, che accoglie e non possiede. Che sa che il tempo non si domina, ma si abita.
Quando la Vita è abbracciata in questo modo, ogni incontro porta con sé un’emozione, ogni incrocio apre a nuovi sentieri, ogni paesaggio porta nuovi colori.
Il viaggiatore della vita non cerca scorciatoie, ma strade che sappiano di verità. Strade che parlano di sé, che fioriscono sotto i passi, che si aprono solo a chi ha il coraggio di restare in ascolto.
Non lo scrivo di certo per la prima volta, ma oggi mi piace declinarlo così: il viaggiatore della vita si concede il tempo del vuoto, dell’attesa, del dubbio. Sa che prima di trovare risposte, bisogna imparare a attraversare le domande. Sa che prima di parlare, urge il silenzio.
Non è turista della propria esistenza, non vive in una bolla protetta. Come l’Amleto di Shakespeare, non si affida a sistemi filosofici, religiosi o ideologici preconfenzionati, non dà per scontato di sapere già tutto, non si sente un uomo arrivato, fatto e finito, ma si sporca le mani, si bagna sotto la pioggia, si lascia inondare dalle emozioni, quale che ne sia la tonalità.
Ha capito che la vita non è una corsa a ostacoli, ma una danza tra luci e ombre, tra partenze e ritorni, tra visioni e, talvolta, delusioni. Insistendo sempre nel prossimo passo.
Il viaggiatore della vita non è uno zatteriere, è un navigante. Sa che ogni incontro è un dono. Che anche il primo volto incontrato per strada può essere un romanzo di domande. E magari contiene una risposta: la sua.
In fondo, a ben pensarci, siamo tutti degli eterni viaggiatori. E faremmo prima a rassegnarci alla bellezza di essere in continua navigazione, spettatori del cielo e della terra: lì dove tutto accade, ci raggiunge, ci scuote e ci segna, anche “l’impossibile”. Ed è bellissimo. Perché è così che scopriamo il mondo che sta oltre ciò che noi abbiamo rigidamente confinato dentro la nostra testa e i nostri “sistemi”: una zona misteriosa, che sfugge alle nostre categorie, qualcosa che nessuna teoria, nessuna esperienza, nessuna immaginazione riesce a esaurire del tutto. È questo “di più” che ci sazia, ci colma, ci attraversa, ci spinge oltre, rende la vita degna di essere vissuta e amata
Per dirla con i versi di Fernando Pessoa:
Se io, ancor che nessuno,
potessi avere sul volto
quel lampo fugace
che quegli alberi hanno,
avrei quella gioia
delle cose al di fuori,
perché la gioia è dell’attimo;
dispare col sole che gela.
Qualunque cosa m’avrebbe meglio
giovato della vita che vivo –
vivere questa vita di estraneo
che da lui, dal sole, mi era venuta!
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l’anima,
da vivere soltanto di vedere!
Neanche a me appartenere!
Andare avanti, andare dietro
l’assenza di avere un fine,
e l’ansia di conseguirlo!
Viaggiare così è viaggio.
Ma lo faccio e non ho di mio
più del sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.