Poeta e scrittore nato a Bisaccia, 20 chilometri dal Comune situato fra i monti dell’avellinese, Arminio proprio dei paesi dell’Italia interna ha fatto il tema prediletto della sua produzione in prosa.

“Un paese come Trevico va visitato da soli. Bisogna aggiungere il proprio silenzio al silenzio del luogo”. Magari diventa l’occasione per capire che “rallentare è molto meglio che trivellare“: parola di Franco Arminio.

Poeta e scrittore nato a Bisaccia, 20 chilometri dal Comune situato fra i monti dell’avellinese, Arminio proprio dei paesi dell’Italia interna ha fatto il tema prediletto della sua produzione in prosa. Negli anni ha scritto libri come Vento forte fra Lacedonia e Candela, Terracarne, Geografia commossa dell’Italia interna, testi fondamentali della paesologia, disciplina da lui stesso inventata.

Avvicinarsi per la prima volta al mondo dello scrittore campano fa a tutti lo stesso effetto: se ne è incuriositi, poi ci si chiede se non si sia di fronte a trovate letterarie, a fughe dell’immaginazione, per realizzare infine che si tratta di qualcosa di concreto e maledettamente reale. Tanto reale che dal 2015 esiste una casa a cui fare riferimento, appunto La Casa della Paesologia, sorta proprio a Trevico.  

In essa, periodicamente, si sono incontrati gli appassionati di paesologia per discutere le istanze più care al “movimento” (mi si passi il termine). Come conciliare poesia e impegno civile? Web e alberi d’ulivo? Mediterraneo e montagne? Spopolamento e immigrazione? Come ripensare l’idea di Progresso? Come immaginarsi un’altra modernità?

Dibattendo questo genere di tematiche, a febbraio 2016, durante la festa d’inverno della Casa della Paesologia, è nato il Manifesto di Trevico. Per meglio capire il tutto abbiamo deciso di parlarne con Arminio stesso. Ci ha avvisati che sarebbe stato laconico nelle risposte, perché diversamente nelle interviste non riesce ad essere. Abbiamo deciso che ne valesse lo stesso la pena.

 

Da dove è nata l’esigenza di scrivere un Manifesto politico/culturale? Qual è stata la spinta?

A Trevico. Dopo più di un anno d’incontri molto felici abbiamo avvertito l’esigenza di mettere a fuoco alcune delle nostre idee.

Qualche chiarimento terminologico per chi si avvicina al vostro mondo: cosa sono le “comunità provvisorie”? Cosa sono i “parlamenti comunitari”?

In principio si chiamava “comunità provvisoria”, era legata essenzialmente all’Irpinia. Poi il discorso si è allargato a tutta l’Italia e il plurale è diventato necessario. Il termine “provvisorie” sta a indicare che queste comunità non sono quelle tradizionali, a metabolismo lento. Le nostre sono comunità al tempo della Rete, un tempo velocissimo. I “parlamenti” sono degli incontri in cui si parla, ma si può anche intervenire suonando o cantando o recitando, insomma una forma che mette insieme l’arte e il logos.

La paesologia ricorda tentativi quali quello di Montesquieu di riflettere sui rapporti fra paesaggio e società, o alcuni scritti di geofilosofia, o istanze teoriche come quelle del pensiero meridiano: cosa deve la paesologia a questa parte di filosofia?

Tutti dobbiamo tanto a tanti. Nel caso della paesologia più che le ascendenze filosofiche forse contano quelle letterarie. Almeno nel mio caso il cuore di tutto è sempre la poesia.

Cosa rispondete a chi vi dice che siete dei nostalgici del mondo contadino? O, meglio, perché un manifesto come quello di Trevico non è anacronistico?

Si tratta di interpretazioni un po’ fesse. Noi non esprimiamo questa nostalgia perché non ce l’abbiamo. La paesologia non va confusa con la paesanologia. Più che parlare di anacronismo, io parlerei di inattualità. Essere inattuali di questi tempi non mi pare un grave difetto.

Oggi, e ormai da anni, in Italia si vorrebbe far nascere una nuova sinistra: il Manifesto di Trevico o la paesologia sono qualcosa che può e vuole parlare a quella parte politica?

Personalmente ho avuto una brillante esperienza politica nella Lista Tsipras alle ultime elezioni europee. Non posso parlare per tutte le persone che frequentano la Casa. Mi sembra che tutti abbiano a cuore una politica che unisce poesia e impegno civile. I partiti sulla scena fanno un lavoro molto diverso dal nostro. Tra l’altro a noi non ci paga nessuno. Purtroppo nel mondo di oggi esperienze politiche esaltanti non se ne vedono. La cosa migliore è partire da una fonte che sia solo nostra.

Il 17 aprile ci sarà il referendum sulle trivelle. Conosciamo tutti i motivi concreti per cui sia giusto votare SÌ, quindi opporsi alle perforazioni: quale può essere invece il motivo poetico e letterario?  

Noi siamo ovviamente per il SÌ. La nostra idea di mondo prevede che il mondo non è una cava. Pensiamo che non siamo i padroni del pianeta. Crediamo a una nuova alleanza tra gli uomini e la natura. Ci piacerebbe che l’umanità si disponesse nel pianeta in maniera più quieta e discreta. Siamo sempre più miopi e ingordi. Rallentare è molto meglio che trivellare.

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