Pakistan: la strage di Lahore nel giorno di Pasqua è avvenuta mentre ancora si stavano piangendo i morti di Bruxelles, seguiti da quelli dimenticati dello stadio di Iskanderiyah, in Iraq, dove hanno perso la vita 141 persone, fra cui 17 ragazzini, con una ripercussione mondiale molto meno intensa e partecipata.
Il pianto deve impedire altri pianti. Ma l’Europa rischia di focalizzare solo i propri morti e di mettere in disparte i drammi più lontani delle minoranze cristiane in Pakistan e di civili inermi morti allo stadio in Iraq, vittime di un kamikaze.
Ci hanno pensato però gli utenti di Twitter a colorare di bianco e di verde, almeno virtualmente, la Tour Eiffel dopo il sanguinoso attentato di Lahore, visto che il sindaco di Parigi si è rifiutato di illuminarla, perché questo atto deve essere riservato a vicende straordinarie. Ma i morti, vittime innocenti di attentati, anche in luoghi dove sono molto diffusi, come in Pakistan, non meritano attenzione? E i bambini?
Quelle vittime, nella “terra dei puri” (significato di “Pakistan” in urdu), sono ancora più vittime, perché diversi: minacciati da vivi con l’accusa di blasfemia, e dimenticati da un Occidente che si autoproclama difensore del mondo libero, e chiude gli occhi di fronte alle prevaricazioni di un importante, ma ambiguo, alleato dotato di bomba atomica.
Il caso della blasfemia colpisce non solo i cristiani pachistani, bersaglio facile, perché si tratta di persone povere ed emarginate, ma anche molti islamici. Per l’arresto basta l’accusa, falsa nel 95% dei casi; poi tocca al sospettato provare la sua innocenza; comunque a determinare l’esito dei processi è la forte pressione dei fondamentalisti. I “blasfemi” assolti sono spesso braccati e assassinati. Chiunque abbia provato a contrastare questa legge, come il governatore musulmano del Punjab Salmaan Taseer o il ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cristiano, è stato assassinato. Dal 1986 ad oggi, la legge sulla blasfemia avrebbe fatto più di 1500 vittime.
In proposito sono migliaia i sostenitori di Mumtaz Qadri, l’estremista islamico impiccato il 29 febbraio scorso. Costoro, accampati da domenica 27 marzo lungo la strada che porta alle sedi del governo pachistano, avanzano una serie di richieste, tra cui l’esecuzione di Asia Bibi, la madre cristiana di 5 figli, condannata per blasfemia nel 2010 con l’accusa di aver offeso il Profeta Maometto durante una lite.
Il Pakistan, terzo paese al mondo in cui il terrorismo ha fatto più vittime tra il 2001 e il 2014 (3.524 contro le 143mila irachene, le 17mila afghane e le 420 europee), è noto alle cronache per essere teatro da tempo di una delle peggiori forme di intolleranza, il cui prezzo è pagato dalle minoranze. Nel paese, a larga maggioranza musulmana, i cristiani sono circa l’1,6 per cento della popolazione totale: la seconda minoranza dopo gli hindu.
Qui il fenomeno terrorismo ha una aspetto lontano dall’ISIS: è una realtà creatasi negli ultimi decenni, dopo la guerra con l’Afghanistan, e ha il volto dei cosiddetti talebani. Si tratta di una frangia fondamentalista sunnita che si oppone oggi alla politica del presidente Sharif, tesa ad ammorbidire i contrasti e a creare unità nazionale. Una posizione politica molto coraggiosa quelle del Capo di Stato pakistano, ma purtroppo debole. In questo senso l’attentato terroristico avvenuto nel giorno di Pasqua a Lahore è un attacco ai cristiani, ma è anche una precisa risposta politica al Governo in carica da parte di chi non vuole il processo d’integrazione e preferisce la radicalizzazione delle differenze e in particolare l’emarginazione delle minoranze, in primis quella cristiana. La verità è che qui è in corso l’ennesima partita mortale per il controllo del paese. Il premier Nawaz Sharif appare sempre più pateticamente isolato e ostaggio dell’esercito e dei servizi.
Si spera che l’attentato di Pasqua a Lahore non dia fiato ai profeti dell’odio e delle crociate antislamiche, che con la loro incompetenza non fanno altro che lasciare campo libero al terrore e allo scontro di civiltà. In questo servono uomini che attraverso le culture mostrino la strada per superare i pregiudizi.
Recita un proverbio ebraico: “Quando uccidi un uomo, uccidi il mondo intero”. La cultura della morte deve restare inaccettabile ad ogni latitudine e i bambini bisogna lasciarli giocare!