«Può educare solo chi sa cosa significa amare»

(Pier Paolo Pasolini)

Caro lettore, adorata lettrice,

le parole di Pasolini che aprono questo caffè, sono tratte dal suo Romans, opera narrativa pubblicata postuma nel 1994, ma scritta tra il 1948 e il 1949, ovvero negli stessi anni in cui egli insegnava materie letterarie presso la scuola di Valvasone, in provincia di Pordenone.

Raggiungeva la sua classe di prima media in bicicletta e magari meditava su parole come queste: «Il lavoro del maestro è come quello della massaia, bisogna ogni mattina ricominciare da capo: la materia, il concreto sfuggono da tutte le parti, sono un continuo miraggio che dà illusioni di perfezione. Lascio la sera i ragazzi in piena fase di ordine e volontà di sapere – partecipi, infervorati – e li trovo il giorno dopo ricaduti nella freddezza e nell’indifferenza».

Ho scelto Pasolini per riandare con la riflessione su quanto è accaduto nelle ultime settimane e mi riferisco espressamente a due fatti.

Il primo: il disegno di legge che prevede un ritorno all’antico nel sistema di valutazione della scuola primaria. Hanno aperto un vivo dibattito le dichiarazioni del ministro Valditara: «Come fa un genitore o un bambino a capire che ‘in via di prima acquisizione’ vuol dire insufficiente? È una questione di chiarezza». E ha aggiunto: «Stiamo valutando se sia utile aggiungere la possibilità di mettere ‘gravemente insufficiente’ dal prossimo anno scolastico».

Il secondo: i (mis)fatti di Pisa, che tanto sdegno hanno suscitato nell’opinione pubblica, tanto da indurre il Presidente Mattarella a dichiarare: «L’autorevolezza delle Forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».

Che c’entra Pasolini con tutto questo? C’entra, eccome, a mio modesto avviso.

Perché il Pasolini dell’io sto coi poliziotti è lo stesso che, sempre in Romans, scriveva: «Per fare studiare i ragazzi volentieri, entusiasmarli, occorre ben altro che adottare un metodo più moderno e intelligente. Si tratta di sfumature, di sfumature rischiose ed emozionanti… Bisogna tener conto in concreto delle contraddizioni, dell’irrazionale e del puro vivente che è in noi… Può educare solo chi sa cosa significa amare».

Ed è ancora Pasolini che, nel 1975, sul “Corriere della Sera”, ammoniva: «È stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l’era della pietà, e iniziato l’era dell’edoné. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore)».

Ogni commento mi pare superfluo.

E pensate: Pasolini non aveva ancora conosciuto la TV spazzatura, le veline, i tronisti, la TV del dolore, i reality; e, naturalmente, non aveva neppure conosciuto i social e gli influencer.

Chissà cosa avrebbe pensato e scritto dei giovani di oggi, fustigandoli con la sua parola consuetamente cruda, eppur ricca di compassione e amore.

E, soprattutto, chissà cosa avrebbe detto di noi, genitori, educatori, generazione al comando: che tanti sfasci a danno dei giovani di oggi e di domani abbiamo provocato. Tanto da renderne una parte, non tutti spero, nostalgici dei Fasci.

Platone: «Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione».

Honoré de Balzac: «Le domande non sono mai indiscrete. Lo sono, talvolta, le risposte».

Tullio De Mauro: «Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite:
proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.
Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,
un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...