Henri Laborit, Elogio della fuga
I minori stranieri non accompagnati che frequentano i CPIA (MSNA) sono stati fortunati a sopravvivere e vivono fino a 21 anni in Case Famiglia o in Associazioni dove hanno un tetto e del cibo. Però hanno sempre fretta di lavorare per guadagnare e per mandare soldi a casa. In media, le prime migliaia di euro servono a ripagare i debiti contratti con i vari coyote per il loro viaggio.
Non riescono ad apprezzare a fondo il fatto che la scuola possa essere per loro un intervallo di umanità. Noi li definiamo adolescenti o giovani adultizzati. Brutalizzati dalle esperienze che hanno fatto. Non ce la fanno sempre a fermarsi. Hanno fretta. A volte i docenti dei CPIA riescono a rasserenarli o almeno a imbastire con loro relazioni e legami complessi e delicati che tessono il patchwork della speranza di un nuovo umanesimo nei loro occhi. Alcuni riescono ad appassionarsi per un anno intero allo studio. Pochi concepiscono il sogno ambizioso di proseguire altri tre anni in un percorso serale di secondo livello che conduce al diploma. Nella più breve delle ipotesi occorrono in tutto almeno tre anni. Tre anni di studio da 400 o 600 ore l’anno. Spesso una missione impossibile che richiede stabilità e residenza.
Ma quanti di loro una volta perso l’alloggio avranno la serenità per studiare? Perché a 21 anni massimo perdono il diritto all’alloggio protetto.
Quanti di loro troveranno un lavoro col salario minimo e il contratto regolare? Pochi. Quanti di loro troveranno una casa decente? Pochi.
Eppure la vita è più forte.
Io e i miei compagni di percorso in Mastri4.0 – www.mastri4.0.com – ne incontriamo alcuni che in alloggi precari hanno messo su famiglia anche con tre figli. Ne incontriamo alcuni che hanno un figlio diversamente abile. E c’è sempre la magnifica scuola italiana che li accoglie tutti. Manca sempre il lavoro, quello stabile.
E allora noi abbiamo deciso che il lavoro stabile è la vera priorità dopo tanti sacrifici, rischi e fortuna. Non gli occorre la nostra elemosina, ma la nostra integrazione e non c’è integrazione senza permesso di lungo soggiorno e non c’è lavoro senza sicurezza e certezza del diritto. Dopo tanto esilio ci vuole un porto sicuro, non un ulteriore porto lontano.
L’esilio è una cosa seria. Una volta approdati in Italia deve tradursi in emigrazione e restare – vedi la puntata precedente – esilio solo nell’anima. E la certezza del diritto deve garantire il viaggio verso i luoghi d’origine o verso l’altrove.
Dopo tanto coraggio, dopo tanta incoscienza, dopo tanta strada sempre scomoda, dopo tanti sacrifici, dopo tanti soverchi rischi, occorre un lavoro regolare e una dignità civica. Occorre un percorso di cittadinanza basato sul versamento di tasse complete per l’intero orario lavorativo da parte del datore del lavoro. Qualsiasi altra parola è razzismo. E occorre la formazione in servizio per garantire sia la sicurezza che la progressione di carriera.
Certo che se la politica elimina anche la protezione speciale per lo più utilizzata con i minori non accompagnati e rende impossibile il passaggio al permesso di lungo soggiorno, allora anche il mondo delle imprese disposte a contrattualizzare, e sono tante, è inerme perché l’ultimo ostacolo sono gli uffici legali che hanno necessità assoluta di versare gli oneri riflessi degli emolumenti. Sembra un tecnicismo. Sono tasse sul lavoro obbligatorie per le grandi imprese. E non possono riguardare solo una parte delle ore lavorate come avviene in escamotage in outsourcing.
Forse occorre ricordare a tutti i bagnanti sui lidi nostrani, supportati dalla politica sulle nostre spiagge fin troppo attrezzate, che senza i contributi sul lavoro cade il nostro stato sociale. In particolare uno di queste tipologie di contributi, l’IRAP, paga i nostri ospedali.
Più ostacoliamo la regolarizzazione, meno si versa. Meno si versa, più si taglia su sanità e istruzione e sul Welfare in generale.
È talmente elementare che è disarmante parlare la lingua di Petrarca nel paese che è governato dalle politiche sull’immigrazione più miopi di tutti i paesi liberali. Chi poteva approvare lo ius soli scholae (temperato) non lo fece, chi poteva evitare i respingimenti a destra e a sinistra non lo fece, chi può oggi creare nuova precarietà e nuova clandestinità lo fa con zelo e con dedizione. Ci pensa la notte.
In un paese in cui la politica sottrae le tasse allo Stato Sociale scavando la ghiaia sotto i piloni del ponte su cui è comodamente adagiata, in quel paese ai giovani molto bene istruiti dalle nostre scuole è urgente insegnare a partire. Ad andarsene. Ad emigrare. Gli insegneremo poi a gestire l’esilio dell’anima.
L’esilio è una cosa seria ma è anche l’unica strategia darwiniana possibile in determinati frangenti.
Dopo il terremoto del 1980 noi fuggimmo da Napoli e dalla pessima gestione della ricostruzione senza alcun rimpianto e senza mai girarci indietro.
L’esilio guarda avanti.
E allora abbiamo deciso di supportare un progetto Mastri4.0 – finanziato esclusivamente dalla fiducia che in noi ha avuto un imprenditore, Daniele D’Orazio della Impredo Benefit -, che sintetizza tante opportunità di lavori regolari con la formazione in servizio. Spesso si tratta di lavori difficili, ma non per tutti. Non siamo fate e maghi. Siamo solo dei professionisti delle opportunità. E abbiamo intercettato grandi soggetti del mondo del lavoro e del mondo della formazione. Di certo siamo professionisti della Tiburtina a Roma dove il progetto fu ideato e dove ha sede l’Impresa sponsor. Detto così può suonar male. E abbiamo deciso che è dalla Tiburtina che deve partire il riscatto. Noi siamo “tignosi”. Noi amiamo la Tiburtina anche se viviamo a Roma Nord, è inutile negarlo.
Ci sono tanti esili. Molti borghesi si esiliano nei quartieri residenziali. Non tutti gli esili riescono col buco. Alcuni falliscono. Altri hanno un tempo di scadenza. Altri sono per sempre. Ma tutti gli esili hanno un prezzo. Tutti lasciano il segno. Anche solo nella nostalgia. Un nostro amico di York partì per l’Australia, per Perth con la moglie e con le due figlie. Scelse di vivere a Fremantle e insegnò all’Università per tre anni. Sua madre gli disse arrivederci quando loro partirono e lui le chiese: e se sarà per sempre? E lei rispose: Chi ha dove tornare, torna sempre. E voi a York avete una bella casa e due ottimi lavori. Voi tornerete. E loro puntuali, dopo tre anni, tornarono. C’è chi sceglie l’esilio per inquietudine e per fare un’esperienza.
C’è chi sceglie l’esilio per fuggire non tanto dove, quanto da qualcosa. Ci sono tanti esili.
Il carcere è un esilio per tutti. Poi dentro il carcere ci sono anche gli stranieri cioè quelli che oltre al carcere devono digerire l’esilio. Alcuni arrivano nel carcere che ancora non parlano una parola di Italiano.
Quanti esili dentro un solo esilio.
La madre del mio amico inglese era partita dall’entroterra della Campania a 14 anni e aveva raggiunto l’Inghilterra di cui non parlava la lingua negli anni ‘50. Ebbe un figlio da un uomo britannico che presto morì. Sposò poi un polacco. Il figlio a scuola parlava Inglese. A casa solo il dialetto campano.
Non parlare né l’Italiano né l’Inglese è un esilio linguistico dentro l’esilio. Lei era partita solo col dialetto.
Non tutti gli esili sono di sola andata, ma di certo lo è quello di una ragazza di 14 anni che partì dall’Irpinia con bassa scolarizzazione.
In Sicilia anni fa andammo a Santa Caterina di Villarmosa. Cercavamo le origini della bisnonna di mio marito, Cipriana Fertile. Volevamo cominciare dal cimitero. Avremmo fatto un buco nell’acqua. Lei era morta a Milano e non era discendente di nessuno. Lo scoprimmo perché andammo in parrocchia ed io parlai col parroco e gli chiesi se c’erano i registri di tutti i battezzati. Lui confermò e ci indirizzò verso il responsabile. Lui consultò i dati perplesso. E così scoprimmo che Cipriana era il santo del giorno in cui nacque e Fertilia era il cognome dei trovatelli dato dalle suore che l’avevano raccolta dalla ruota a cui la sua madre biologica l’aveva saggiamente affidata.
Ha ragione Luciana Littizzetto: “Chi mette un bambino nella ruota non lo abbandona ma lo affida”.
Forse Cipriana era nata fuori da ogni legame, da un uomo in vista. Ebbe dalle suore una buona educazione fino ai 15 anni, età in cui fu portata al nord da un militare sabaudo di leva. Il suocero lombardo la protesse, la impiegò nella sua fiorente azienda di antiquariato, la prese in casa ed impedì le nozze fino alla maggiore età. C’è anche l’esilio per non turbare il perbenismo. Ci sono tanti esili. E c’è l’accoglienza del trisnonno di mio marito.