
Perth, 2023.
Rebibbia è una realtà ammirevole, amministrata nel tempo della mia esperienza da una pregevole umanità che umanizza tutto col sorriso, dai vertici in giù. Ma potrebbero non essere così tutti i climi. E i climi poi anche in un contesto detentivo favorevole sono talvolta variabili per la complessità del contesto.
Il punto non è il clima. Il punto non è il cielo. Anche se il cielo d’Australia è il punto per ossimoro. Il punto non è lo spazio ristretto o in caso di sovraffollamento lo spazio vitale quasi nullo, il punto non è la non dignità della solitudine negata h 24, il punto non è cosa possono fare gli operatori che già si inventano di tutto per trasformare quel tempo detentivo in un percorso che abbia un senso. No. Il punto è un altro.
Occorre ampliare le misure detentive alternative. Occorre immaginare altre tipologie di spazi e di pene. E soprattutto occorre ampliare la continuità lavorativa fuori, oltre i limiti della pena. Occorre ripensare il carcere. Occorre facilitare per un anno almeno l’alloggio dopo. Urge una riflessione generale.
Vedere tutti quei giovani fa pensare che in un altro tipo di struttura potrebbero essere formati e istruiti non solo con le parole e con il lavoro ma anche con altri spazi dell’apprendimento e della convivenza coatta.
Il nostro carcere, come la nostra scuola, esprime un modello “fordista” di catena di montaggio.
Ma è tempo di una scuola 4.0 perché non bastano le aule 2.0 né gli ambienti ripensati 3.0.
Ormai manca solo l’edificio 4.0. E poi manca la didattica 2.0. Un cambio di paradigma. L’approccio STEM, STEAM e CLIL sono veicoli ma la meta dovrebbe essere la didattica per progetto a latere di quella generalista che è il bimbo dentro la culla che non va mai buttato. In un progetto INDIRE – Le Avanguardie Educative – il tempo scuola e le cattedre vengono rivoluzionate. Dentro uno spazio nuovo un tempo nuovo per le competenze trasversali. Una rivoluzione copernicana della riorganizzazione del lavoro oltre i limiti della logica ‘fordista’ delle cattedre e delle discipline. Una rivoluzione dell’organizzazione dei saperi che non può che cominciare all’Università. Un terremoto interculturale. Enzimi. Contaminazioni.
E, a latere, la buona vecchia didattica generalista e disciplinarista che può avere forme e contenuti usuali ma tempi interculturali fra le classi nuovi: una cantica della Divina Commedia non potrebbe essere letta e spiegata con metodo di didattica frontale in aula magna a quattro classi invece che ad una?
Nel sistema anglosassone ovunque nel mondo c’è intercultura fra la triennale e la specialistica universitaria o fra major e minor. In Italia no. La specialistica è un consolidamento della triennale. A Perth ero tutor di Italiano di un’universitaria che studiava Neuroscienze per una carriera ospedaliera e Italiano e Letteratura per i suoi interessi biografici (major and minor).
Ed è tempo di aprire una riflessione sul carcere, sulle sue forme, sui suoi tempi e soprattutto sulle sue cause e sui suoi modi. Occorrono tante varietà di carcere. E in quello che conosciamo, ‘fordista’ , a catena di montaggio, dovrebbero arrivarci solo alcune tipologie.
Adesso invece ci arrivano tutti.
Dopodiché il carcere è diviso in tipologie legali, in bracci e in settori che fanno la differenza. Ma l’aria che si respira è sempre angusta.
Rebibbia ha settori di semiliberi o solo di lavoratori dove la dignità si respira fra gli altri oltre che praticarla di persona. Insomma oggi la claustrofobia è somministrata per gradi. Ma poi scende il buio o viene l’estate e la cella è la cella, plurima. E l’estate è lunga e bollente.
Domani dovrebbero essere pensate forme architettoniche di carcere dove la claustrofobia del regime della pena dovrebbe essere solo intuita dall’esterno e non esperita da ogni osservatore.
Il reinserimento sociale non può avvenire ex abrupto a fine pena. Fuori, oltre mille porte blindate, ci vuole un progetto di accompagnamento che umanizzi la fine delle ispezioni.
Il reinserimento sociale dovrebbe scivolare fluido come acqua fra un prima e un dopo e non fra un dentro e un fuori. Per molte tipologie di pene le forme di detenzione andrebbero ripensate. “Seconda chance” è un progetto che fa questo col supporto delle direzioni. Ed è attivo in tutta Italia. L’idea geniale è di una giornalista. Il sito del progetto spiega tutto.
Grazie alla dr.ssa Volpicelli x questo magnifico articolo che condivido pienamente
La maggioranza delle persone considera il carcere una punizione, una vendetta, un impedimento fisico a delinquere.
ma in realtà la nostra legge e la nostra Costituzione (articolo 27) dicono una cosa diversa, e spiegano che il carcere ha una funzione rieducativa e che sarebbe teso a scoraggiare le recidive, nonché a convincere che di delinquere non valga la pena. Quindi al reinserimento di uomini e donne che nel loro percorso si sono persi.. purtroppo non sempre è così e anche per i volontari che vorrebbero aiutare è difficilissimo proporsi, c’è una burocrazia che invece di incoraggiare scoraggia