
Entriamo pure nel mistero a testa alta
Ma c’è un momento adatto per definire il limite dell’eccesso e rientrare nei parametri di una normale, serena, stabile quotidianità? Pensando alla partenza, così lontana, e alla meta raggiunta con gli anni, per ritrovarsi ad anelare, un po’ di pace e non trovarla, mi pare stranissimo.
Non scorgendo alcuno spiraglio, un fioco raggio di luce che indichino un approssimarsi di un tempo di pace, di silenzio mi chiedo: «A che serve la pace e il silenzio con riferimento alla morte? È un’adempienza del Fato, oppure una sadica previsione scritta tra le pagine ingiallite di un tomo trascendentale o immanente, empirico? Di sicuro accuso solo il silenzio, che non sa dare risposte attendibili né discutibili. Ma col silenzio si dovrà parlare senza voce così il mutismo avrà un altro strato di silenzio da poterlo servire a fette, come le lasagne emiliane: un piatto non espresso, una portata da menù stellato, Michelin?
Tra i miei ricettari, oggi che ci penso, non esistono ricette in tal senso, anche se non ne sono, convinto del tutto. Mi sono trovato a comporre ricette che alcuni miei clienti hanno osato, dico osato, definirle eccezionali, sia dal punto culinario, sia per la varietà degli ingredienti adoprati. Ma per fare bisogna che uno si attivi con la fantasia, laddove la pratica pone dei limiti e, non certamente, invalicabili.
Entriamo pure nel mistero a testa alta: ne siamo parte stessa e non dovremmo aver timore di svelarci. L’infinito è fatto di materia e di mistero, che s’individua in Dio. Ma pur dentro di noi esiste un infinito che va oltre la materia, fin nel mistero che chiameremo “Anima”. Il primo infinito non dovrebbe sovrastare il secondo in quanto l’anima abbandona la materia (corpo) in stato di sfacelo (trasformazione) e trova altra dimora in un altro corpo, all’infinito appunto.
Silenziare o sfilacciare questi concetti filosofici significa non possedere altro specchio per guardarsi.
Sì, guardarsi dentro o intorno a noi stessi; imparare a conoscersi, fin dove c’è possibilità di sapere, fin dove arriva la grandezza di Dio e del nostro essere.
L’esame di coscienza non è altro che guardarsi dentro e rivedersi i contenuti, ma non certo per bilanciarne i valori positivi con quelli negativi. Sarebbe come scalare un monte privi di forze dovute, necessarie, e quindi da impreparati: essere imprudenti nell’affrontar l’impresa per poi trovarsi nel silenzio assoluto? Ma si può parlare, discutere, aprire un dialogo serio col silenzio? Quale tipo di domande si potrebbero porre e quali risposte si attenderebbe aspettarsi e con quale udito visto la sordità che accompagna il mutismo e ne fa afona cassa di risonanza, di risultanza?
Sembra proprio un darsi da fare a comunicare con l’impossibile e riceverne risposte che nemmeno l’etere è in grado di trasportare, trasmettere il silenzio. Questo a differenza di un’eco riflessa che si scambiano due propaggini dello stesso burrone; in una sala vuota con le pareti ciarliere e con l’acustica acuita da una risonanza gradevole o nociva che sia.
Il silenzio ignora l’idea è il verbo mentre riconosce, forse, il proprio mutismo: lo conosce al punto tale che se n’è fatto una sua prerogativa. Rifacciamoci alla Grotta dei Cordari a Siracusa, dove la più pallida, lieve, flebile voce o suono emessi, la struttura ne amplia, per ben sedici volte, l’eco. Fu il Caravaggio, dopo aver visitato la grotta che ha quasi forma di un gran padiglione auricolare, a darne il nome di Dionisio, despota di Siracusa. In questo caso il silenzio diventa dirompente e squarcia l’altrimenti mutismo della cavità da toccare i timpani e magari, danneggiandoli. «Ho bisogno di silenzio per starmene tranquillo», si potrebbe dire. Forse è questo il modo più giusto, ricercato, da chi non sa più distinguere il silenzio dal caos giornaliero. Oppure è causa della propria incapacità di zittire le inutili sollecitudini che provengono dagli egoismi e dalle nostre aspirazioni, illecite dal punto di vista esistenziali. Ma non abbiamo dentro di noi un deserto silenzioso dove le dune sono l’anima della quiete ma che parlano, attraverso il vento se c’è un sommesso, religioso ascolto?
Ci ha provato il Messia.



























