«Quando il cielo baciò la terra nacque Maria che vuol dire la semplice, la buona, la colma di grazia. Maria è il respiro dellanima, è lultimo soffio delluomo»

(Alda Merini)

Sono inciampata nell’immagine di una ragazza di altri tempi: è giovane, sorride, ha una mano sul cuore e l’altra sul pancione. Ha un velo sul capo che scende lungo il corpo, l’abito morbido di colore tenue: nulla in questo quadretto è sfarzoso, salvo tutto quanto trasmette. Semplice, solare, radiosa, felice: ricorda Maria.

È bella. E allora, penso, è folle.

Sì, è esattamente questo: un’immagina che mi riporta un sentimento che innalza alla follia. Quella bellezza che quando svanisce lascia tormento nell’animo, quella beltà che insegna quanto solo il cuore, specie se soffre, è capace dei sentimenti più alti.

Vedo bellezza: quella che non può smettere di essere, che lascia impronte profonde e segni significativi.

Vedo bellezza: quella identificativa e mai illusoria, capace di impregnare la realtà circostante e le persone tutte.

Vedo bellezza: quella che non provoca sentimenti razionali e ragionati, ma reattiva ed istintiva attrazione, impulso improvviso che non permette di smettere di pensarci.

Vedo bellezza: quella che innalza e solleva dopo ogni caduta come lampi improvvisi dagli effetti esaltanti.

Vedo bellezza: quella del sorriso  che richiama musica, poesia, prosa del cosmo, melodie a corde, a tasti, ad archi, a percussione, senza la linearità di un pentagramma.

Quell’immagine in un istante mi ha bloccato il cuore, gli ha messo le ali e mi ha portata nell’Universo.

E mentre ci penso mi giunge una notifica da un’app. Dice esattamente: “Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te”.

E allora l’ho già detto, quell’immagine ricorda Maria, magari questa notifica non è un caso, magari sì: di fatto, non si contano le immagini dichiaratamente mariane che ho visto ed anche amato fino al oggi, icone, disegni, sculture più o meno di pregio. Nessuna come questa però.

Non so da dove provenga, non ho tracce di alcuna possibile fonte e confesso che quasi non mi interessa.

Mi ha rapita con la forza prorompente e disarmante della sua semplicità. Non porta con sé simbolo alcuno, nessun fascio di luce aggiunto, niente aureole o stelle, nessun segnale. Niente che dica realmente il suo nome. Tutto che è quel nome.

È incredibile.

È bella.

È mamma.

È proprio Maria.

E ciò che più mi fa fiera oggi è che quel nome sia Myriam.

Da sempre mi sono sentita grata per la scelta che aveva fatto la mia di mamma donandomelo: l’ho sempre ritenuto bellissimo, a prescindere dalla sua provenienza. Oggi, lo ritengo di più.

In quell’immagine, da sola, la luce.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.